L’iniziativa egiziana per un cessate il fuoco a Gaza è fallita e langue da settimane. Per questo la visita di ieri al Cairo del premier italiano Matteo Renzi è apparsa tardiva. Ma un primato ce l’ha: è il primo capo di governo di un paese dell’Unione europea a riconoscere l’autorità del golpista Abdel Fattah al-Sisi, mettendo una pietra sopra alla prudenza della diplomazia italiana, nei primi giorni dopo il colpo di stato di un anno fa, nel riconoscere le istituzioni ad interim, volute dall’esercito egiziano.

Eppure, nelle scorse settimane, già le visite dei ministri degli Esteri francese, italiano, spagnolo e il loro sostegno accordato alla mediazione egiziana erano apparse fallimentari. Sisi e Renzi hanno fatto appello alla cessazione delle ostilità tra israeliani e palestinesi. Per Renzi tutto dipende dalla «liberazione del soldato rapito» – in una zona di guerra e per un esercito all’offensiva in un territorio vicino, sarebbe giusto dire «catturato. Ma di liberazione dei Territori occupati che languono da 50 anni di occupazione da parte di Israele, tra colonie, Muri e uccisioni, Renzi non si occupa. L’ex generale da parte sua ha fatto riferimento alla mediazione del Cairo, considerata da Hamas lacunosa poiché non tiene in considerazione la richiesta del movimento palestinese di mettere fine all’embargo su Gaza, come «unica via di uscita dalla crisi».

Tuttavia, nonostante gli annunci propagandistici e le aperture a singhiozzo, il valico di Rafah, che segna il confine tra Egitto e Gaza, resta chiuso, impedendo ai feriti palestinesi di essere curati nei nosocomi egiziani.
Eppure i colloqui al Cairo vanno avanti. Se Israele ha fatto sapere di rinunciare agli incontri previsti per una tregua a Gaza, per l’incertezza sulla sorte del soldato israeliano scomparso venerdì, una delegazione palestinese ha lasciato la Cisgiordania diretta al Cairo per nuovi colloqui. La delegazione è guidata da Azzam al-Ahmad, esponente del partito del presidente Abu Mazen, Fatah. Ai colloqui dovrebbe partecipare anche il portavoce di Hamas, Moussa Abu Marzouk.

Ai margini della conferenza al palazzo presidenziale di Heliopolis, Sisi ha ricordato la sua funzione di «stabilizzatore» del paese che altrimenti avrebbe corso il rischio di finire come i suoi vicini: chiaro riferimento alla grave crisi libica. «Il messaggio dell’Egitto è che stiamo facendo molti sforzi su questioni come l’economia e la sicurezza. Abbiamo avuto elezioni presidenziali e ora mancano le parlamentari, a cui stiamo lavorando», ha detto Sisi. In realtà il golpe del 2013 ha innescato una serie di iniziative di ex generali e militari che hanno riportato l’esercito al centro della gestione politica, dalla Siria alla Libia fino all’Iraq. Il modello di «stato contro terrorismo» è stato usato poi anche dall’esercito israeliano che, nel conflitto in corso, ha lo scopo apparente di azzerare il movimento palestinese Hamas.

In merito alla Libia, Renzi ha ribadito la validità del processo elettorale, che ha avuto luogo lo scorso 25 giugno per la formazione del parlamento. Renzi si è detto però convinto della necessità di un «intervento forte». La preoccupazione strumentale del premier italiano – come di tutti i suoi predecessori – è di frenare i flussi di migranti dal paese nord-africano, in aumento dopo l’inizio della grave crisi, innescata dal golpe dell’ex generale Khalifa Haftar, ora riparatosi al Cairo, la scorsa primavera. «Penso che oggi sia fondamentale che l’Onu invii rapidamente un inviato speciale in Libia», ha aggiunto Renzi. Ma Forse l’Italia dovrebbe alla fine riflettere sul suo ruolo e sulla sua partecipazione, con la Nato, alla guerra «umanitaria» di bombardamenti aerei di soli tre anni fa. Raid aerei effettuati allora in piena sintonia con le milizie jihadiste insorte contro Gheddafi – tanto che qualcuno disse che l’Alleanza atlantica era la loro aviazione. Ma a che punto è il «processo democratico avviato in Libia» dalla guerra Nato? Dopo la proclamazione dell’«Emirati islamico» a Bengasi, e l’assalto delle milizie jihdiste di Misurata all’aeroporto della capitale libica, ieri si è svolta a Tobruk (e non a Tripoli per questioni di sicurezza) una riunione d’emergenza di 160 parlamentari libici in pectore per consultazioni sulla situazione della sicurezza nel paese.