Renzi se ne farà una ragione. E la sinistra Pd?
L'addio di Cofferati Il caso non è chiuso, come aveva sostenuto Renzi. Anzi ora si spalanca una questione politica, che incrocia anche il voto sul Colle
L'addio di Cofferati Il caso non è chiuso, come aveva sostenuto Renzi. Anzi ora si spalanca una questione politica, che incrocia anche il voto sul Colle
«La discussione finisce qui», aveva sentenziato Renzi venerdì sera provando a mettere una pietra sul il pasticciaccio ligure. E invece il caso non è chiuso, lo strappo di Cofferati lo dimostra ampiamente. Anzi, il tono guascone e finale del segretario ha contribuito a convincere una personalità autonoma (da europarlamentare non ha votato Junker né il suo squattrinato piano) ma disciplinata come l’ex leader Cgil che non c’erano più spazi di mediazione con il Pd che ha contribuito a fondare otto anni fa. Non è chiusa la vicenda delle irregolarità ai gazebo liguri – per meno sono state annullate le primarie a Napoli nel 2011 – ma soprattutto il Pd renziano non può far finta di niente sulla scelta di un gruppo dirigente regionale, pure vincitore nei gazebo, di cambiare la natura dell’alleanza (in Liguria esce la sinistra ed entra l’Ndc, ma non è il solo caso) senza una discussione leale con militanti ed elettori.
Il caso non è chiuso anzi per il Pd si spalanca un’enorme questione politica proprio mentre Renzi suonava il violino della disponibilità al confronto con le minoranze sul nome del futuro capo dello stato. E le minoranze si disponevano, con poche eccezioni, al minuetto. Lo strappo di Cofferati, l’uomo della difesa dell’art.18, mette anche loro di fronte a una scelta.
Non si tratta (solo) di prendere atto che qualcosa a sinistra del Pd renziano potrebbe nascere, e che la probabile vittoria di Alexis Tsipras alle presidenziali greche del prossimo 25 gennaio, fra una settimana, sta accelerando e persino rendendo necessario il ’big bang’ che interesserà in qualche misura il fianco sinistro del partito democratico.
Si tratta, per le minoranze Pd, di fare un bilancio dell’efficacia reale delle battaglie spesso ridotte a dichiarazioni di solidarietà come gesti di testimonianza. Ieri Gianni Cuperlo ha rivolto al segretario un appello a suo modo drammatico: l’uscita di Cofferati, ha spiegato, «è una ferita per chiunque abbia creduto con passione alla costruzione di una grande forza della sinistra. Lo è in sé, per la storia e la biografia di Sergio. Lo è doppiamente per le ragioni che la motivano. È sbagliato e offensivo liquidare la decisione di Cofferati come una reazione stizzita all’esito delle primarie in Liguria». Si può fingere, si chiede retoricamente, «che nulla sia accaduto e voltare pagina magari con l’atteggiamento di chi pensa ’tutto sommato, un problema di meno’?». Ma è una domanda che Cuperlo dovrebbe rivolgere prima degli altri a se stesso. Stefano Fassina, già durissimo in direzione lo scorso venerdì, ha chiesto a Renzi di chiamare Cofferati – sembra che non l’abbia mai fatto in questi concitati giorni – e dedicare una direzione del Pd alla vicenda ligure. Ma è realista sull’esito delle sue richieste: «Credo che qualcuno non sia particolarmente dispiaciuto dell’addio di Cofferati perché lo vede come un aiuto per ricollocare il Pd in un’ottica di centrodestra».
Per tutto il giorno all’interno del partito si è combattuta la battaglia delle opposte dichiarazioni: da una parte renziani che sfottono o sfidano il fuoriuscito a lasciare anche il seggio di Strasburgo; dall’altra gli accorati disarmati della sinistra che invocano, pregano, auspicano. Renzi, che pure i bene informati davano per non ostile al candidato ligure nella sfida delle primarie, ormai non li ascolterà.
E si capisce che non può farlo, se non con un’operazione-verità che cambierebbe verso alla sua direzione del partito. Dopo averlo negato in ogni luogo, dai discorsi su Mafia Roma alla stessa Liguria dove gli indagati in regione non mancano, non può ammettere che il partito che sta per esprimere il capo dello stato è impelagato, ancora una volta, in vicende (per ora solo) irregolari che minano in profondità la credibilità e la costruzione dei gruppi dirigenti.
Il vicesegretario Lorenzo Guerini, che ha cercato fino alla fine di derubricare a questione locale gli allarmi rossi che arrivavano da Genova, ieri ha chiuso le porte a Cofferati e a chi vorrà seguirlo: «Mentre il Pd è chiamato ad affrontare sfide nazionali come la scelta del capo dello Stato e locali come le elezioni regionali, bisogna mostrare il massimo attaccamento alla comunità: è il momento della responsabilità. La scelta di Cofferati non va in questa direzione e rischia di danneggiare il partito». L’accusa di irresponsabilità potrebbe essere ribaltata sul gruppo dirigente del Nazareno che ha scelto di non sapere e non vedere quello che era chiaro almeno dallo scorso dicembre, da quando gli esponenti della destra hanno cominciato a condurre una campagna forsennata a favore della candidata Paita, lei consenziente.
Se Renzi, mentre dirime la delicata questione della scelta del prossimo presidente della repubblica, voleva sgombrarsi il campo dagli interrogativi che gli pone il suo partito, la direzione in cui lo sta conducendo, che è questione morale e politica, ha sbagliato parole e opere. Ma il suo atteggiamento liquidatorio, che è una conferma del metodo Renzi, deve interrogare assai di più le variegate anime della sinistra interna. Renzi si farà una ragione di perdere Cofferati: è l’uomo della difesa dell’articolo 18, e la sua biografia politica cominciava a non avere più niente a che vedere con il Pd 2.0 del jobs act. Il punto è se a farsene una ragione saranno anche gli uomini e le donne delle minoranze Pd. E fino a che punto sono disposte a farsi una ragione della trasformazione – ormai quasi compiuta – del loro partito.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento