A Roma «chi è in grado di governare governi, se no vadano a casa». Il macigno nelle acque già ai limiti della navigabilità del governo della Capitale Matteo Renzi lo aveva già lanciato ieri mattina dalle colonne de La Stampa. E ieri sera a Porta a Porta non ha nascosto la mano.

«Se torna Renzi 1», quello che riprende «in mano il partito», visto che «con il Renzi 2 non si vince», «fossi in Marino non starei tranquillo», anche perché nel 2016 molte città tornano al voto, «forse anche Roma»: era il segnale inviato nell’intervista, da rottamatore, al sindaco “anarchico”.

Ignazio Marino però butta giù il rospo, sfodera il sorriso migliore che può, lascia a Matteo quel che è di Matteo, e tira dritto per la sua strada, che si allontana sempre più da quella del Pd. «Noi pensiamo al futuro della città – ribatte il sindaco ai cronisti – Una città che cammina e va avanti, buon lavoro». Ma è una bomba, che non cade a ciel sereno. E rivela invece che la difficile e complessa situazione romana si sta trasformando per il premier/segretario in un cubo di Rubik, un rompicapo a incastro di difficile soluzione.

Il Renzi 1, l’uomo forte contro tutti, può però fare a meno anche di Matteo Orfini. L’intervista a La Stampa è un colpo pure per il commissario straordinario, fin qui alter ego di Renzi 2, che da mesi lavora alacremente per risanare il Pd romano. In un primo momento il presidente dem cerca di sminuire: «La battuta di Renzi va inquadrata come stimolo a fare di più e meglio sulla strada che abbiamo intrapreso». Poi però, usando Alessandro Di Battista che lo invitava a dimettersi, parla a nuora affinché suocera intenda: «Noi non abbiamo un padrone/proprietario come voi, non un guru che ci impone la linea – risponde Orfini al deputato grillino – Si chiama libertà. Provala, ti piacerà».

Uno scontro, quello tra Renzi e Orfini, che il Pd, né quello romano né quello nazionale, si può permettere al momento. «Abbiamo bisogno di tempo per ricostruire la credibilità del partito. Se i consiglieri capitolini e dei municipi cominciano a sentirsi in campagna elettorale, qui salta tutto», è la reazione incredula di qualche dirigente dem romano. Nel salotto di Bruno Vespa, Renzi corregge un po’ il tiro: «Deciderà il Pd romano con la coalizione, tra l’altro Orfini sta facendo un lavoro bellissimo».

Bisogna cambiare strada però, insiste il presidente del consiglio: «L’ipotesi del commissariamento per mafia non esiste. Leggeremo come governo le carte ma per noi non ci sono gli estremi», assicura riferendosi alla relazione arrivata nelle mani del prefetto Gabrielli che ha ora un mese e mezzo per chiedere semmai al governo l’intervento. Ma se «Marino è una persona perbene, questo è riconosciuto da tutti», comunque «a me interessa se l’amministrazione pulisce le strade, ripara le buche, fa i campi sportivi in periferia, mette a posto le case popolari: se sono in grado di governare vadano avanti, ma si occupino di cose che riguardano i cittadini. Il sindaco e l’amministrazione – intima Renzi – si guardino allo specchio e decidano cosa fare. Quest’anno c’è il Giubileo, tutto il mondo ci guarderà».

Sembra di sentire parlare i consiglieri di Sel o i Radicali che al sindaco rimproverano di non aver ancora fatto abbastanza per le fasce più deboli della cittadinanza e iniziano a far sentire le prime crepe nella tenuta della maggioranza capitolina. Ma c’è chi giura invece che al presidente del consiglio preme più la tenuta del governo bipartisan che il destino politico di Roma, dove vorrebbe semmai veder risorgere i buoni rapporti di un tempo tra il Pd e il ceto imprenditoriale che conta, rapporti che il sindaco Marino ha volutamente e pericolosamente azzerato in due anni. Renzi 1 non si accontenta certo di un rimpasto di giunta, ma convincere il chirurgo dem a dimettersi è quasi più difficile che riconquistare i voti persi da Renzi 2.

«Ora ci aspettiamo il Renzi 3, quello capace di far pace con il Renzi 1 e il Renzi 2 – commenta Giunluca Peciola, il capogruppo di Sel, partito che oggi si consulterà con la propria base sul da farsi – Roma non ha bisogno di suggeritori nevrotici, ma di un governo capace di aiutare la città nella lotta al degrado e a risolvere le emergenze abitative e sociali drammaticamente aperte».