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Renzi rassicura Napolitano: niente sgambetti al premier

Renzi rassicura Napolitano: niente sgambetti al premierGiorgio Napolitano

Quirinale Il leader Pd gestirà la riforma elettorale. Con o senza Alfano

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 12 dicembre 2013

Doppio turno di collegio oppure mattarellum modificato. Comunque un sistema rigorosamente maggioritario. L’intesa tra Giorgio Napolitano e Matteo Renzi non si chiude solo sulle belle parole ma su un modello preciso di legge elettorale. Il doppio turno, da sempre miraggio del Pd, dopo il pronunciamento di Angelino Alfano sembra a portata di mano. Sempre che quella del Nuovo centrodestra sia una proposta vera e non solo un espediente per prendere tempo. Alberga nell’animo del sindaco-segretario il sospetto che gli ex pdl mettano in campo a bella posta una formula che imporrebbe ampie modifiche costituzionali e costerebbe un nuovo ciclo di rinvii.

Di conseguenza Renzi, nel primo colloquio con il presidente in veste di segretario, ieri mattina sul Colle, non si limita a fissare l’obiettivo. Indica anche un percorso, sul quale il capo dello Stato concorda: la legge va fatta in tempi rapidi e svincolata dalle riforme istituzionali, che a loro volta devono procedere a passo di carica e in nessun caso potranno essere adoperate come alibi per frenare la nuova legge elettorale. Ci penserà il braccio destro Dario Nardella, qualche ora dopo, a chiarire il concetto: «Entro due mesi occorre portare a casa la legge elettorale e l’abolizione del Senato. Il Pd ha il dovere di parlare con tutti, Forza Italia compresa. Se entro due mesi non ci sarà una nuova legge non avrebbe senso continuare con questa esperienza».

Rottamatore sì, kamikaze no. Renzi si muove con determinazione, ma anche con diplomazia. Sa che, tra tutti, il colloquio che richiede più savoir faire è proprio quello col capo dello Stato. Subito dopo il breve incontro con Enrico Letta, aveva confidato che sarebbe stato inutile dilungarsi col premier: a decidere tanto non sarebbe stato lui ma l’inquilino del Quirinale. Sul Colle, l’enfant terrible offre quindi a Giorgio Napolitano quel che il presidente si attende: l’assicurazione che da parte sua non ci saranno sgambetti al governo. Su questa base, semaforo verde per la gestione della riforma elettorale in cambio della promessa di non attentare alla tenuta del governo, nasce il patto a tre, Napolitano-Renzi-Letta, dal cui successo dipende la possibilità, per l’esecutivo, di tirare avanti per l’intero 2014.

Forse Napolitano avrebbe preferito qualche garanzia in più sulla sopravvivenza del governo, ma persino lui sa bene di non poter ottenere dal nuovo leader quello che chiedeva al precedente segretario: l’impegno a difendere a ogni costo la «stabilità». Pretendere un giuramento simile da Renzi sarebbe inutile. La promessa di non fare nulla per abbattere Letta è il massimo che possa concedere. Nel discorso in Parlamento, il premier fa la sua parte non mettendo di fatto paletti all’autonomia del parlamento in materia di legge elettorale. A gestire questa riforma sarà dunque, d’ora in poi, direttamente il leader del Pd. Il primo passo è il trasferimento dal Senato alla Camera della faccenda. Anna Finocchiaro si oppone. Renzi procede come un panzer. Il capo dei senatori Zanda si adegua e sottoscrive la richiesta di spostamento. Scelta civica, per bocca di Linda Lanzillotta, s’imbizzarisce senza che il nuovo Pd se ne dia pensiero alcuno. La partita non è chiusa, anche perché nel frattempo Fi e Lega hanno cambiato idea. Essendosi resi conto che alla Camera la maggioranza potrebbe procedere a piacimento sulla strada del doppio turno, optano adesso per una permanenza della legge al Senato, almeno fino alle motivazioni della sentenza della Consulta. La scelta finale spetterà ai presidenti delle camere, ma l’ipotesi di una calendarizzazione delle riforme istituzionali al Senato e della legge elettorale alla Camera resta di gran lunga la più probabile.

A Montecitorio il Pd avanzerà la sua proposta prima alla maggioranza e immediatamente dopo a Sel, perché, come ha detto Renzi nella riunione dei gruppi parlamentari, «è ovvio che i primi con cui dialogare devono essere quelli con cui ci siamo presentati in coalizione alle ultime elezioni». A quel punto si vedrà se Alfano fa sul serio o bluffa. Nel primo caso, il Pd incamererà la legge, forse proprio il doppio turno. Nel secondo, cambierà corsia di getto e passerà a sostenere il mattarellum con Sel, Fi e Grillo.

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