Renzi prendere o lasciare
Democrack Scontro duro sulla legge elettorale. Il segretario contesta Cuperlo: «Non parli di preferenze chi si è fatto eleggere nel listino». L’«Italicum» salva il governo ma spacca il Pd. Il leader avverte: nessun emendamento o salta tutto
Democrack Scontro duro sulla legge elettorale. Il segretario contesta Cuperlo: «Non parli di preferenze chi si è fatto eleggere nel listino». L’«Italicum» salva il governo ma spacca il Pd. Il leader avverte: nessun emendamento o salta tutto
«Ho detto ’profonda affinità’ con Berlusconi. Avreste preferito ’divergenze parallele’?», «a quelli che preferiscono la prima Repubblica facciamo ciao ciao con la manina». Matteo Renzi apre con 40 minuti di ritardo la direzione del Pd che deve discutere – o meglio votare – la proposta di legge elettorale. La trattativa con Alfano è andata per le lunghe, e la pazienza il segretario Pd l’ha consumata tutta là, a sacrificare virgole di decisionismo renziano sull’altare della stabilità del governo Letta.
Per questo quando arriva davanti ai dem va per le spicce recitando per l’ennesima volta i titoli delle riforme che vuole portare a casa, almeno incardinate, entro il 25 maggio e cioè entro le europee: titolo V della Costituzione, «superamento» del senato. Ma il core business del discorso è la legge elettorale, che Renzi battezza «Italicum», con un’assonanza con il treno della strage che sarebbe stato più bello evitare. Premio di maggioranza dal 18 per cento per chi raggiunge almeno il 35 per cento, secondo turno se nessuna coalizione lo raggiunge, liste bloccate ma corte, sbarramento al 5 in caso di coalizioni e all’8 in caso di singoli partiti. «I partitini hanno ucciso le coalizioni», chi vince «non deve essere ricattabile. Questa legge stabilisce la vocazione maggioritaria, non esclude le alleanze ma le finalizza a vincere per governare». È la formula veltroniana che per anni ha armato opposte tifoserie, l’autore va al microfono per impartire una benedizione, ma conosce i suoi e invoca l’unità del Pd, come poi faranno anche Dario Franceschini e Franco Marini.
Ma Renzi ha preso la rincorsa ed asfalta tutto: rispedisce al mittente tutte le critiche che ha sentito. No alle preferenze («non sono mai state proposte dal Pd», lo copre Franceschini), tanto il Pd si impegna di svolgere le parlamentarie; e al «vincolo della rappresentanza di genere». Le polemiche contro lui sono «strumentali» e si fa beffe di chi le fa. L’incontro con il Cavaliere? «Esprimo la mia gratitudine a Berlusconi per aver accettato a discutere nella sede del Pd. E con chi dovevo parlare? Con Dudù? Non ho resuscitato io Berlusconi. Una volta che le riforme si possono fare, l’idea che si dovrebbe rinunciare in nome dell’ostilità pregiudiziale è di una subalternità allucinante». «Se non abbiamo paura delle nostre idee non abbiamo paura di confrontarci con gli altri». Sono le parole con cui l’attuale minoranza difendeva il governo delle larghe intese. Renzi chiama la conta ma avverte: «Non votiamo sulle proposte del segretario, ma su quelle già votate da due milioni di persone». Non è precisamente così – di Italicum l’elettore delle primarie non ha mai sentito parlare – ma è così che la mette giù il leader. E cioè dura. Rincara ancora: «La proposta o è così o salta tutto».
Sfilano gli interventi a favore, la stragrande maggioranza. Il leader dell’opposizione Cuperlo prova a fare qualche premessa di metodo: «Non c’è una minoranza che vuole boicottare, intralciare un processo riformatore». Ma nel merito è no su tutto. «Alla luce della sentenza della Consulta la proposta è di dubbia costituzionalità», dice Cuperlo, «non garantisce né una una rapprentanza, né il diritto di scegliere. Il doppio turno », che chiedeva la minoranza bersaniana, «è un passo avanti ma resta che la soglia per il premio debba essere alzata almeno al 40 per cento». La minoranza non ci sta allo stile prendere o lasciare, ripropone – senza convinzione – la richiesta di una consultazione interna : «Si dice che è tutto deciso con il voto delle primarie dell’8 dicembre? Che altrimenti è come fare esplodere la macchina e boicottare la storica riforma istituzionale? Andate spediti e ci rivediamo a una nuova direzione che riconvoca le primarie la prossima volta. Funziona così un partito?».
La replica di Renzi è schietta: «Capisco se la proposta delle preferenze la facesse Fassina, che ha Roma ne ha prese 12mila. Ma non chi non è passato per le parlamentarie». E insiste senza cerimonie: «Spero che Cuperlo voti contro. Ma poi vale il principio che dopo, il Pd viaggia compatto. Voglio fare della direzione un luogo vero, non o così o pomì, un luogo in cui si discute davvero. Ma quando si è deciso, quella linea non impegna parte del Pd ma il Pd». È il centralismo democratico in salsa Leopolda. Cuperlo lascia la direzione indignato. Il segretario incassa 111 sì. La minoranza conta le sue 34 astensioni (ci sono anche i civatiani), ma i bersaniani insorgono. Fassina: «Attacco inaccettabile a Cuperlo». Ma per D’Attorre non è finita qua: «Se l’accordo resta sulle liste bloccate, la mia previsione è che il gruppo rischia di spaccarsi. Presenterò un emendamento. Detto tra noi, sono d’accordo soltanto i renziani a cerchio stretto, che pensano di essere tutti tutelati dalle liste bloccate, e un nucleo ristretto di franceschiniani».
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