Politica

Renzi prende l’interim e attacca chi lo critica

Infrastrutture Vertice con Mattarella, ma il Ncd frena sulla scelta del nome destinato a sostituire Lupi

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 24 marzo 2015

L’esito era scontato e infatti non ha riservato sorprese. Così, più che a scegliere il nome giusto per sostituire il dimissionario Maurizio Lupi ai vertici del ministero delle Infrastrutture, la salita di ieri al Colle è servita a Matteo Renzi soprattutto per spiegare al presidente della Repubblica l’impasse in cui si trova il governo, bloccato com’è dalle proteste di un Ncd per niente contento di perdere un’altra poltrona senza poterla sostituire adeguatamente. «Pensano che l’esecutivo sia ormai troppo a impronta Pd» ha detto il premier a Mattarella, spiegando così il malumore dell’alleato. Il risultato, come annunciato, è che Renzi assumerà l’interim alle Infrastruure per almeno una quindicina di giorni, tempo che il premier ritiene sufficiente per il raggiungimento di due obiettivi: trovare una soluzione che accontenti il partito di Alfano certo, ma soprattutto vedere cosa accade in casa Ncd dove cresce il malumore per la «subalternità» al premier.
Sul primo punto la soluzione potrebbe essere a portata di mano con l’offerta della poltrona di ministro per gli Affari regionali a Gaetano Quagliariello (lui però sarebbe tutt’altro che entusiasta). Il secondo potrebbe invece risolversi da solo nelle prossime due settimane, appunto i 15 giorni che Renzi si è dato per indicare il nome del nuovo ministro, quando il problema Ncd probabilmente non sarà più tale. Il partito di Alfano è infatti diviso in almeno tre correnti: gli anti-renziani guidati da Nunzia De Girolamo, pronti ormai a rientrare in Forza Italia al punto da proporre ad Alfano una conta interna al partito su cosa fare e cosa non fare con il premier. Dall’altra parte ci sono invece quelli intenzionati a passare nel Pd, una corrente decisamente maggioritaria guidata dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin (decisa anche a candidarsi alla poltrona di sindaco di Roma alle prossime amministrative). In mezzo gli Alfano, i Quagliariello e gli Schifani, indecisi sul cosa fare e per i quali entrambe le strade sembrano (e di fatto sono) impercorribili.
Renzi aspetta quindi di vedere come evolverà la situazione, sicuro alla fine di spuntarla come sempre. Che alle Infrastrutture il premier voglia uno dei suoi, e dei più fidati, non ci sono dubbi. Definitivamente tramontata l’ipotesi di un tecnico (Gratteri e Cantone), il nome che figura in cima alla lista è quello di Graziano Delrio, scelta che comporterebbe l’assegnazione delle deleghe oggi nelle mani del sottosegretario, a partire da quella relativa alla gestione dei fondi europei. Altra cosa data ormai per sicura è lo spacchettamento del ministero di Porta Pia al quale verrebbe sottratta la struttura di missione, quella che decide sugli appalti, che finirebbe sotto le dirette competenze dei palazzo Chigi.
Ma ieri per Renzi è stato anche il giorno i cui ha potuto togliersi “qualche sassolino dalla scarpa”, come ha spiegato parlando agli studenti dell’università Luiss di Roma. A partire da chi l’accusa di autoritarismo, che il premier bolla come qualcuno che «passa il tempo a vivacchiare piuttosto che a prendere decisioni chiave». Ma la sua è una difesa di tutto l’operato del governo, difesa che non lascia spazio al minimo dubbio: dal jobs act, contestato dalla sinistra Pd («è di sinistra difendere non i simboli, ma le persone») alla legge elettorale che, dice, «tra cinque anni ce la copierà mezza Europa».

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