Renzi, Marchionne e la falsa partenza
Ferrari «Grazie per quello che fai per il paese». «Grazie di sfruttare il Jobs act». Scorre il miele sui problemi dell’auto. Il duetto tra il premier e il manager sul «paese che va» rovinato dall'andamento del titolo.
Ferrari «Grazie per quello che fai per il paese». «Grazie di sfruttare il Jobs act». Scorre il miele sui problemi dell’auto. Il duetto tra il premier e il manager sul «paese che va» rovinato dall'andamento del titolo.
È andata un po’ come al Gran premio di Monza. Quando Renzi, approfittando di una Ferrari in prima fila, si presentò ai box da tifoso. Non fu la «gran giornata» che aspettava Marchionne. Raikkonen sbagliò partenza e si ritrovò ultimo. Ieri Renzi si è invitato a Milano per l’avvio della quotazione delle azioni Ferrari. Mezz’ora dopo il titolo è stato sospeso.
La breve sospensione è stata dovuta all’eccesso di pressioni al ribasso. Il titolo – fissato a 43 euro in partenza – era immediatamente scivolato a 41,7 euro per azione. Due mesi fa nel giorno del lancio a Wall Street era accaduto l’opposto, il titolo partito da 52 dollari aveva aperto la seduta sopra i 60 (ha poi chiuso l’anno a 48 dollari). Ieri – quando gli sguardi erano rivolto principalmente alla capitalizzazione di Fca una volta scorporata Ferrari – il marchio di Maranello ha pagato una giornata negativa per tutte le borse; ha comunque recuperato e chiuso in crescita a + 0,53%. «Il risultato di questa prima giornata non è indice di niente, dobbiamo aspettare che le interferenze spariscano», ha chiuso il discorso Sergio Marchionne. E si è dedicato all’ospite d’onore.
Arrivando a Milano in una piazza Affari colorata di rosso Ferrari, sfilando a palazzo Mezzanotte tra alcuni dei modelli più preziosi del Cavallino, Matteo Renzi non poteva immaginare di incrociare la seconda peggior seduta della borsa italiana degli ultimi cento giorni, la giornata del crollo dei listini asiatici. Cosa che ha provocato la facile ironia di alcuni avversari politici, pronti a rovesciargli addosso la storiella del «gufo» così com’era successo dopo il Gran Premio di Monza (anche quella volta la Ferrari recuperò sul finale ma neanche quella volta finì con un trionfo).
Tagliare il nastro per un titolo azionario comporta qualche rischio in più rispetto a farlo per un tratto autostradale. Ma per Renzi la visita a Marchionne è ormai un genere politico consolidato: in poco più di un anno è già andato a Detroit, a Mirafiori e a Melfi.
Ogni volta è un trionfo di metafore automobilistiche. L’Italia «riparte», «accelera», «sorpassa»; ieri correva «più forte». Marchionne ha ringraziato Renzi, Renzi ha ringraziato Marchionne. L’amministratore delegato di Fca lo ha fatto perché «nonostante un’agenda fitta d’impegni ha trovato il tempo per venire qui», a Milano. Non solo: «Un grazie soprattutto per quello che sta facendo per il paese». Il presidente del Consiglio ha ringraziato il manager perché «ha tenuto fede alla promessa» di quotare Ferrari anche in Italia, non solo a Wall Street. E perché sta «sfruttando fino in fondo il Jobs act»: riferimento alla trasformazione nel nuovo contratto a tutele crescenti di un migliaio di vecchi contratti di Melfi. Il vero ringraziamento andrebbe fatto agli incentivi sui contributi, che scontano all’azienda oltre ottomila euro per ogni assunzione.
Tra Renzi e Marchionne scorre stabilmente il miele. «Si è fatta tanta strada nel 2015, abbiamo fatto assunzioni grazie ai cambiamenti nel mercato del lavoro, Melfi sta andando alla grande. Tutti segnali di ripresa dell’economia italiana: condivido l’ottimismo di Renzi», ha detto ieri il manager italo-canadese con residenza fiscale in Svizzera. Dettaglio che faceva notare qualche anno fa proprio Renzi, durante i pochi mesi in cui tra i due scorreva invece veleno. Una parentesi di rancore, apertasi inaspettatamente dopo che l’allora sindaco di Firenze aveva platealmente appoggiato la linea dura del manager al tempo della guerra alla Fiom di Pomigliano: «Sto dalla sua parte senza se e senza ma». Un’uscita eccessiva, anche per il Pd e per Bersani. Poi i 20 miliardi di investimenti promessi dall’amministratore delegato per Fabbrica Italia sparirono e Renzi, in difficoltà, lo accusò di «tradimento». Marchionne sbagliò i calcoli e lo liquidò come «il sindaco di una città piccola e povera», Renzi ci andò a nozze perché «noi abbiamo fatto il Rinascimento, lui la Duna», Marchionne continuò ancora un po’ a dire che «non ha esperienza e non è adeguato a fare il leader».
Il giovane, però, dopo poco, entrò a palazzo Chigi e l’esperienza, evidentemente, se la fece tutta in un giorno. «È dirompente», «va veloce», «sono orgoglioso di lui», «deve andare avanti», «mi piace», «ha un gran coraggio», «ci dà un indirizzo chiaro»: il manager trova sempre un complimento nuovo per il politico. E il politico all’occorrenza sa vestirsi da tifoso. Come dopo l’ultima visita a Mirafiori: «Sono gasatissimo dai progetti di Marchionne». Una giornata sfortunata in borsa, cosa volete che sia.
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