Renzi, la sua «cosa» a gennaio. Pd, conta fra chi resta e chi va
Democrack/Primarie Pd Corrente allo sbando, parte l’hashtag: #iorestonelPd, ipotesi di non sostenere nessun nome. C’è l’urgenza di trovare una nuova candidatura per evitare che ci troviamo di fronte due mezzi partiti, nessuno dei quali motivante perché poco utili all’Italia
Democrack/Primarie Pd Corrente allo sbando, parte l’hashtag: #iorestonelPd, ipotesi di non sostenere nessun nome. C’è l’urgenza di trovare una nuova candidatura per evitare che ci troviamo di fronte due mezzi partiti, nessuno dei quali motivante perché poco utili all’Italia
Il giorno dopo il braccio di ferro che ha convinto Marco Minniti a ritirarsi dalla corsa per le primarie Pd, la parola d’ordine del Pd è: «tutti fermi». Su Repubblica campeggia l’intervista del ex candidato con un nuovo appello all’unità: «Spero che non ci sia alcuna scissione. Sarebbe un regalo ai nazionalpopulisti». Renzi da facebook risponde con tono sprezzante verso i suoi, quasi già ex: «Chiedetemi tutto ma non di fare il piccolo burattinaio al congresso del Pd», «Non chiedetemi di stare dietro alle divisioni del Pd perché non le capisco, non le condivido, non mi appartengono», «Da mesi non mi preoccupo della Ditta Pd: mi preoccupo del Paese». Nella sua lingua il Pd è già ridotto al rango della «Ditta», quella Bersani&D’Alema, quello che per lui era il partito dei gufi, rosiconi e perdenti.
CON I SUOI BUTTA ACQUA sul fuoco della scissione: la nuova «cosa» non è alle viste, forse non arriverà neanche per le europee, giura di non voler portare con sé nessun dirigente. Smentisce Dagospia che data la nascita del nuovo soggetto al 16 dicembre, in occasione della prima riunione romana del movimento «Cittadini!». Smentisce anche Sandro Gozi a cui viene attribuita la paternità dell’iniziativa. Gozi ci sarà, ma da ospite. L’ex sottosegretario agli affari europei per Renzi è la chiave d’ingresso nei palazzi di Bruxelles, l’uomo che parla con Macron e con gli spagnoli di Ciudadanos.
E DAGLI INCONTRI di mercoledì a Bruxelles la road map della nuova creatura renziana esce abbastanza definita: lancio entro gennaio per arrivare a fare una lista europea e dunque una formazione che faccia da ago della bilancia per una coalizione fra socialisti e liberali. In modo da non consentire agli antieuropeisti di essere determinanti per il governo della prossima Unione. «Se il Pd resta fermo al centro dei vecchi Socialisti e democratici non avrà nessuna capacità espansiva». Naturalmente questa creatura descritta come «non conflittuale» con il Pd però ne contenderebbe i voti – «ma pescherà anche a destra», viene assicurato.
C’È QUALCOSA DI TROPPO FACILE in questa fantasia europeista: le firme da raccogliere per partecipare a voto sono moltissime per un movimento senza organizzazione. Ma questa sarà un’altra storia, ammesso che Renzi non cambi idea nel frattempo.
A sera su Radio1 lui ancora smentisce: «Di scissioni ne abbiamo viste già abbastanza. Non è all’ordine del giorno e non sto lavorando all’impostazione di qualcosa di diverso», dice. E perché non l’ha detto il giorno prima a Minniti?
NON L’HA VOLUTO DIRE. E ora il Pd renziano è allo sbando, la corrente è in confusione, oggetto delle attenzioni dei due candidati destinati allo spareggio, Martina e Zingaretti. Per il costituzionalista Stefano Ceccanti, dell’area liberal (Libertà Eguale) con questi candidati è impossibile andare a congresso: «C’è l’urgenza, nelle prossime ore, di trovare una nuova candidatura per evitare che ci troviamo di fronte due mezzi partiti, nessuno dei quali minimamente motivante, perché poco utili all’Italia». Ma chi? Scese le quotazioni di Teresa Bellanova, c’è chi ipotizza di convincere Paolo Gentiloni come candidato unitario, chi propone di fermare il congresso. Ma sono ipotesi della disperazione.
LORENZO GUERINI, presidente del Copasir, invocatissimo dai suoi, si blinda tutto il giorno in un provvidenziale convegno della Nato Foundation. Non prima di aver ribadito di non essere disponibile. Sale l’ipotesi di non sostenere nessuno. Sarebbe deflagrante, come e più dell’abbandono dell’ex segretario. «Oggi è tutto fermo», giurano tutti. Eppure a Palazzo Madama viene riferito di conciliaboli fra senatori renziani e Nencini, della lista «Insieme», su un nuovo gruppo.
La verità è che non è fermo niente. Il Pd è preda di uno smottamento continuo. Carlo Calenda, dato in uscita, smentisce di essere interessato alla «cosa» di Renzi. A stretto giro gli arriva il corteggiamento di Zingaretti, «credo che Calenda possa essere uno dei principali protagonisti della battaglia delle elezioni europee». Matteo Ricci, il sindaco di Pesaro che con altri 550 colleghi aveva sostenuto la candidatura di Minniti, lancia l’hashtag#iostonelPd. Inizia la conta fra chi parte e chi resta, ma al momento Renzi non ha invitato nessuno. Matteo Richetti chiede ai sindaci di confluire su Martina. Goffredo Bettini, schierato Zingaretti, elogia Minniti e lo definisce «un punto di forza del nostro partito».
NICOLA ZINGARETTI si sfila da quello che definisce «il chiacchiericcio» del partito e partecipa ad un’affollatissima lectio magistralis di Massimo Cacciari sull’Europa, organizzata a Roma all’università Roma Tre da Massimiliano Smeriglio, uno dei due coordinatori di Piazza Grande. Ci sono i Giovani democratici e quelli di Generazione Italia. Vietati i commenti sul caos Pd: «Oggi abbiamo messo la prima pietra di una rifondazione del campo progressista insieme alla comunità accademica gli studenti i docenti i precari», «Dobbiamo cambiare tutto e farlo in fretta», «Il populismo si batte innescando un nuovo movimento popolare globale ed europeo».
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