Renzi e i voti dei rottamati del Lazio
Democrack Lo squadrone lasciato a piedi da Zingaretti quasi tutto schierato con il sindaco. Che giura: non pagherò dazio alla vecchia guardia. Cuperlo presenta le proposte sul lavoro: Matteo ed io alternativi. È ancora scontro sui risultati dei circoli e sul «modello di Pd»
Democrack Lo squadrone lasciato a piedi da Zingaretti quasi tutto schierato con il sindaco. Che giura: non pagherò dazio alla vecchia guardia. Cuperlo presenta le proposte sul lavoro: Matteo ed io alternativi. È ancora scontro sui risultati dei circoli e sul «modello di Pd»
«Caro Luigi non accadrà, accetto scommesse». Nelle ore frenetiche del caso Cancellieri, mentre il presidente Letta decide di andare alla riunione del parlamentari Pd per frenare la slavina contro la sua ministra e mettere gli sfidanti delle primarie di fronte alla fiducia sulla sua persona, Renzi si concede una diretta-fiume via twitter con i suoi sostenitori. Giurando a tal Luigi, fra le altre cose, che non pagherà «un prezzo politico» alla vecchia guardia che lo sostiene. Il sindaco ha assicurato, in chiara polemica con l’ex segretario Bersani, che se vincerà «non ci sarà un vicesegretario. Non servono incarichi di consolazione, ma un modello di partito diverso».
Archiviato, o quasi, il congresso degli iscritti del Pd con la vittoria di Renzi (46,7% contro il 38,4 di Cuperlo e il 9,2 di Civati, escluso Pittella che porterà in dote al più affine il suo 5,7, in pole position c’è Renzi ma il rottamatore non sarebbe favorevole alla sua quarta ricandidatura a Strasburgo), finita la diatriba sui numeri, ieri è stata la volta della polemica sulla vittoria morale. Renzi si dichiara sorpreso di una vittoria insperata fra gli iscritti, «ma la vera sfida è l’8 dicembre». Cuperlo fa altrettanto: «La mia mozione ha ottenuto tra gli iscritti un risultato per certi versi clamoroso. Questo congresso era stato descritto per Renzi come una autostrada. A luglio mi davano al 2%, a settembre al 14 invece è stato un testa a testa, la nostra proposta vince nelle grandi città, dove si concentra il voto di opinione».
Fra Renzi e Cuperlo, per lo più a mezzo D’Alema, la polemica fra chi ha più grandi elettori nell’apparato è quotidiana. La Sicilia e Salerno sono i casi di scontro più noti alle cronache. Ma i dati definitivi di ieri rivelano alcuni fenomeni che difficilmente possono essere rubricati alla voce «modello di partito diverso». Il caso più eclatante è quello di Roma e del Lazio. In città vince Cuperlo, in provincia stravince Renzi. Nella Capitale il candidato della sinistra a ieri aveva capitalizzato 6801 voti (salvo qualche circolo ritardatario), il 54%, il sindaco di Firenze 3526, il 35, Civati 1042. In provincia la situazione si ribalta: Renzi prende 7853 voti, circa il 70%, Cuperlo 2588, Civati scende a 684. Un voto tutto da interpretare: in città votano un migliaio di iscritti meno che in provincia, ed è curioso visto che a Roma il Pd sta oltre il 30, ben oltre le percentuali della provincia, dove i votanti invece risultano pari a quelli di tutta la regione Piemonte. Nel Lazio si ripete lo schema della provincia romana.
Il ]busillis si chiarisce andando a vedere la schiera dei sostenitori, in provincia e nella regione, del sindaco. Fra i quali, con buona pace della rottamazione e del rinnovamento, si trovano quasi tutti i leoni della vecchia regione Lazio a guida Polverini (Pdl), crollata sotto gli scandali e le inchieste sui finanziamenti disinvoltamente usati da esponenti del Pdl e dell’Idv. Che hanno appena oscurato l’attiva partecipazione del Pd alla moltiplicazione delle erogazioni ai gruppi regionali.
Una decisione all’epoca presa dell’ufficio di presidenza (siamo nel gennaio 2010) poi ratificata dal consiglio, che consentì di passare da un milione di stanziamento a 14 milioni. Decisione che fece esplodere la rivolta nella base romana. E che nel 2013 consigliò Nicola Zingaretti, candidato governatore (poi lo diventò) a chiedere il «ricambio radicale» di tutto il gruppo, in pratica a non ammettere nelle liste nessun uscente (neanche fra gli alleati, su questo saltò la coalizione con i radicali), che avesse o meno partecipato a quella fatidica scelta.
Di quel gruppo Pd, oggi quasi tutti – esclusi o ripescati altrove – sono imbarcati nella generosa arca di Renzi: Bruno Astorre, che era nell’ufficio di presidenza della regione, l’ex capogruppo Esterino Montino, che oggi è sindaco di Fiumicino, Marco Di Stefano, che nel frattempo è diventato deputato (subentrato alla dimissonaria Marta Leonori, diventata assessora a Roma), Francesco Scalia, Daniela Valentini, Giuseppe Parroncini, Claudio Moscardelli, Carlo Lucherini. Uno squadrone da decine di migliaia di voti, tutto al lavoro pancia a terra nelle diverse province del Lazio. Per Renzi. Di quel gruppo si sono schierati con il ’perdente’ Cuperlo solo in tre: Enzo Foschi, all’epoca il primo a chiedere le dimissioni del gruppo e a rassegnare le sue (oggi fa il segretario del sindaco Marino), Carlo Ponzo e Claudio Mancini (che non è stato eletto, ma sua moglie è stata eletta alla camera in Lombardia).
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