Lavoro

Cgil e Uil: «Renzi, devi cambiare il Jobs Act»

Cgil e Uil: «Renzi, devi cambiare il Jobs Act»La piazza di ieri a Torino

Lo sciopero generale Un milione e mezzo di persone in 54 città, oltre il 60% aderisce allo sciopero. Camusso dal palco di Torino: «Continueremo a stare in piazza, occuperemo le province e lotteremo nelle fabbriche. Basta dilettanti allo sbaraglio, le leggi si devono discutere». Barbagallo a Roma: «Il premier ci stupisca e ci convochi»

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 13 dicembre 2014

«Se Renzi vuole continuare a tirare dritto, sappia che lo faremo anche noi. Ci troverà nelle piazze, nei presidi a Roma, a occupare le province, a contrattare nelle fabbriche. Non ci fermiamo». Susanna Camusso lancia un messaggio chiaro da Piazza San Carlo, a Torino, nel giorno dello sciopero generale che ha visto l’adesione di oltre il 60% dei lavoratori e 1,5 milioni di persone presenti nei cortei di 54 città (dati del sindacato).

Cgil e Uil hanno alzato al massimo l’asticella dello scontro, perché puntano a cambiare sia il Jobs Act che la legge di stabilità, e i tempi sono stretti. Carmelo Barbagallo, da piazza Santi Apostoli a Roma, ha rilanciato: «Hanno creato lavoratori di serie C, altro che eliminare Ia differenza tra quelli di serie A e B – dice il segretario Uil – Entreranno in aziende dove altri lavoratori hanno l’articolo 18, e loro no. Entreranno con il contratto a tutele crescenti, cioè crescenti per le imprese, e potranno essere demansionati e controllati a distanza. E alla fine dei tre anni, con gli sgravi l’imprenditore avrà risparmiato 13 mila euro, mentre licenziare gli costerà soltanto 7 mila euro». «Non hanno dato l’articolo 18 a chi non ce l’aveva e stanno cercando di toglierlo a chi ce l’ha», ha aggiunto.

Dalla piazza piemontese, anche la segretaria della Cgil ha parlato contro il Jobs Act. E contro il premier: ««Forse per Renzi lo Statuto dei lavoratori è vecchio perché ha 40 anni. Non vorremmo sentirgli dire che anche la Costituzione è vecchia perché ne ha 70. Quando si inizia così, si sa dove si comincia e non si sa dove si va a finire».

Camusso vorrebbe al contrario che «le tutele fossero estese anche ai precari, e non tolte a tutti: che bello se un giorno potessero dire che hanno ferie, malattia, infortuni. Al contrario, quello che si estende sono i voucher – incalza la leader Cgil – Quei buoni che possono usare per chiamarti quando vogliono, e cacciarti quando non servi più».

Un supermarket della precarietà che insomma con il governo a guida Renzi riaprirebbe i battenti a tutto spiano. E per questo i sindacati insistono, quelle leggi vanno modificate: «Sono norme che non vanno bene – dice Camusso parlando del Jobs Act – Da cambiare: noi continueremo e le cambieremo».

Come cambiarle se non c’è dialogo con il sindacato? Camusso torna sulla concertazione: «E’ chiaro – dice – che le leggi le fa il Parlamento, noi lo abbiamo sempre pensato che sia lì il luogo della piena rappresentanza democratica, e non abbiamo mai pensato di sostituirci. Ma magari con un uso un po’ minore della fiducia lo fai agire meglio», dice con una stilettata indirizzata direttamente al premier.

«Siamo chiari – ha continuato la leader Cgil – Noi non abbiamo nostalgia dei riti, né della Sala verde. Dico però al governo che in qualche forma, la scelgano loro, dovrebbe discutere. Basta con i dilettanti allo sbaraglio: quei professori che ci dovevano spiegare tutto, e alla fine si è visto il disastro con le pensioni e le riforme del lavoro».

Appello al dialogo rinnovato anche da Carmelo Barbagallo: «Caro presidente del consiglio ci stupisca. Ci convochi e discutiamo del futuro del Paese», ha detto dal palco il leader della Uil. Concludendo con un appello che ricorda tanto il «resistere, resistere, resistere» usato ai tempi contro Berlusconi: «Noi facciamo andare avanti il Paese. Non ci rassegniamo, mi fa piacere che ci sia l’Anpi oggi in piazza con noi. Faremo la nuova Resistenza contro coloro che pensano di poter fare a meno dei corpi intermedi, dei sindacati».

Ma i sindacati hanno voluto mandare un messaggio anche alle imprese, a quella Confindustria che fino alla vigilia aveva definito lo sciopero uno strumento superato, o comunque non adatto ad affrontare una fase di crisi: «Forse pensano di poter tornare a quando uno decideva tutto e i lavoratori obbedivano – ha detto Camusso – Ma sappiano che non abbasseremo la testa, quel tempo è finito». E ancora: «Siamo pronti a lottare nei luoghi di lavoro: quello che ci toglie il governo, lo riconquisteremo nelle fabbriche». Insomma, conflitto e contrattazione, magari per riprendersi pezzi di tutele e diritti persi per strada con il Jobs Act.

Con un occhio alla redistribuzione, pallino del sindacato. Con toni diversi. Sia Cgil che Uil insistono sul recupero delle risorse, per gli investimenti e per i redditi di lavoratori e pensionati, «da evasione e corruzione». Ma poi Camusso torna sulla patrimoniale: «Chi ha di più, dia di più. Chiediamo un contributo alle grandi ricchezze». Mentre la Uil su questo punto non si ritrova, e preferisce che si forzino i patti Ue: «Renzi si metta alla testa dei paesi che vogliono sfondare il 3%», chiosa Barbagallo.

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