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Renzi detta i tempi a Martina

Renzi detta i tempi a MartinaMatteo Renzi e Maurizio Martina

Partito democratico L'ex segretario ottiene lo slittamento dell'assemblea nazionale già convocata per il 21. Ha in mente un percorso per riprendere il controllo del partito e andare al congresso all'inizio del 2019 ma i suoi presentano la mossa come un'attenzione al lavoro di Mattarella. Il Pd potrebbe rientrare in gioco, solo però nel caso della soluzione più improbabile: un governo con tutti dentro

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 14 aprile 2018

La richiesta arriva dai renziani. Nel pomeriggio il senatore Dario Parrini avanza pubblicamente quello che fino a giovedì l’ex segretario non era riuscito a far accettare al reggente Maurizio Martina: bisogna far slittare l’assemblea nazionale del 21 aprile. Il post su facebook è il segnale che il pressing ha ottenuto il suo scopo. Qualche ora prima Renzi aveva chiamato a colloquio Martina nel suo nuovo studio di senatore, a palazzo Giustiniani. Per un chiarimento sui tempi e i modi del prossimo congresso, in teoria l’oggetto dell’assemblea nazionale. Renzi naturalmente esclude che si possa andare avanti fino alla scadenza naturale (2021) e quindi che Martina possa essere promosso da reggente a segretario vero. Ma ha bisogno di preparare il congresso non avendo ancora un candidato – ed essendo la sua sconfitta troppo fresca. Per scegliere il nuovo segretario tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo (in tempo per le europee) deve rimandare lo scioglimento di tutti gli organi del partito. Ha bisogno di un segretario ponte. «Un commissario liquidatore, un passacarte», secondo la definizione del ruolo data dallo stesso Martina in tv due giorni fa, naturalmente per escludere di volerlo interpretare. Un reggente insomma, cosa che Martina è e continuerà a essere perché, alla fine, ieri sera è stato lui stesso a chiedere ufficialmente lo slittamento dell’assemblea. Un modo questo per evitare lo smacco completo: aveva detto che l’assemblea del 21 avrebbe evitato soluzioni ponte e allora si evita l’assemblea.

C’è poi la motivazione ufficiale del rinvio, che è quella del «delicato momento politico», le «complicate sfide internazionali», il «paese in stallo per i poco decorosi balletti dei vincitori delle elezioni» (Parrini). L’assemblea quindi deve fermarsi per fare spazio alle consultazioni. Tantopiù che le difficoltà in cui si trova Mattarella potrebbero produrre un cambio di scenario, lascia intendere chi appoggia lo slittamento. Apparentemente i renziani sono in contraddizione. Sostengono che il Pd deve stare fuori dai giochi e poi motivano il rinvio dell’assemblea con la necessità di giocare. Martina nel comunicato con cui informa di aver «chiesto» al presidente Orfini di sospendere l’assemblea spiega che è il momento di «concentrare tutte le energie del Pd sull’interesse generale del paese» e sull’«impegnativo lavoro del presidente Mattarella». Il Pd, cioè, si starebbe finalmente accorgendo della musica e potrebbe mettersi a ballare. Può sembrare una vittoria delle linea anti-aventiniana che in fondo, nei limiti del ruolo, Martina aveva almeno un po’ vagheggiato. Il ministro Franceschini, primo teorico del dialogo a tutto campo, è sveltissimo a far sapere di approvare lo stop all’assemblea per seguire da vicino l’evolversi del quadro politico. E non si può del tutto escludere che Renzi sia disponibile a scongelare il Pd in una «fase due» delle trattative. Anche se questo potrebbe avvenire solo nell’ipotesi di un governo «del presidente» e/o allargato a tutte le forze politiche, quella che al momento è ancora la soluzione più improbabile. Dire di essere «disponibili a incontrare chi riceverà l’incarico da Mattarella» è dire nulla: l’alternativa sarebbe entrare in clandestinità. La giornata di ieri dimostra che non sarà in ogni caso Martina a gestire gli eventi. Se non nella funzione temporanea di reggente. In serata, a comunicato del reggente ottenuto, è lo stesso Parrini a tornare sull’argomento per far notare di essere stato lui «con un post ripreso da varie agenzie» ad aver posto per primo pubblicamente l’esigenza di far slittare l’assemblea. Nella quale, peraltro, i renziani sono ancora in maggioranza.

Tutto rinviato, dunque, compresa ancora una volta la discussione sulla sconfitta del 4 marzo che Renzi ha risolto in una riga e mezzo di lettera di dimissioni. E che qualche dirigente del Pd ha cominciato a fare in casa d’altri, come raccontato ieri da questo giornale dando conto di un seminario a porte chiuse organizzato da D’Alema. Ci sarebbe poi il problema dello statuto, che all’articolo 3 indica abbastanza chiaramente che l’assemblea nazionale dev’essere convocata entro 30 giorni dalle dimissioni del segretario – ne sono passati già una quarantina. I renziani rispondono con una diversa interpretazione dello statuto ma anche ricordando che l’ultima direzione aveva comunque previsto di aspettare la conclusione delle consultazioni al Quirinale. L’unica protesta arriva dalle minoranze. Il rinvio dell’assemblea è «inopportuno» per l’area Emiliano, mentre per l’area Orlando «il rinvio senza un percorso è un salto nel buio». Senza un percorso che non sia quello che ha in testa Renzi.

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