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Renzi con i cingolati sul Pd, ora è pronto per le larghe intese

Renzi con i cingolati sul Pd, ora è pronto per le larghe inteseMatteo Renzi – LaPresse

Democrack Minoranze e correnti asfaltate. Orlando obbedisce, Cuperlo molla, Calenda attacca. A casa molti ex ds, fuori o ineleggibili tutti gli uomini del presidente emerito Giorgio Napolitano.Il leader sfotte gli esclusi:«Il partito è con me, spiace ma i drammi sono di chi non arriva a fine mese»

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 28 gennaio 2018

«Non è tempo di polemica, le liste sono ricche di buone candidature». Alle otto di sera di una giornata iniziata due giorni prima, Matteo Renzi si presenta alla diretta facebook con il dresscode della prima ora: camicia bianca fresca di stiratura, per dire: sono tornato. Fa il brillante, come se nella notte precedente non avesse consumato lo strappo finale nel suo partito. Per lui sono solo tre ’casi’ difficili delle liste compilate la notte prima, votate all’alba dalla sola maggioranza, mentre le minoranze sciamavano dalla stanza del terzo piano del Nazareno teatro di uno psicodramma.

QUELLO DEL MINISTRO Claudio De Vincenti, «escluso per un’incomprensione», giura lui con sprezzo del ridicolo; quello di Roberto Giachetti, spostato in un collegio sicuro a Sesto Fiorentino dopo essersi offerto per il collegio di Roma Monteverde; e infine quello di Gianni Cuperlo, che si è scoperto candidato a Sassuolo e ha rinunciato. Per il resto «non c’è nessuna discussione e nessuna divisione».

ORLANDO 75

LE COSE NON STANNO COSÌ. È vero che il leader della minoranza Dems Andrea Orlando, dopo aver scoperto nottetempo di essere candidato in Emilia Romagna («non era concordato») e che molti dei suoi erano fuori (Martella, Marantelli, il giovane e combattivo Sarracino, il torinese Cesare Damiano ha rischiato grosso e poi è stato ripescato in Umbria) ha dato l’ordine alle sue truppe decimate e sbaragliate di fare buon viso a cattivo gioco. «Adesso non credo che sia il momento per fare polemiche. Ognuno deve fare le scelte che ritiene più giuste, ma complessivamente dobbiamo cominciare a fare campagna elettorale», dice dall’inaugurazione dell’anno giudiziario a Catanzaro, dove è arrivato in mattinata direttamente dalla direzione, in faccia i segni di una waterloo personale e di corrente. Ma ormai le sue «truppe» sono ridotte a un manipolo: da più di 100 parlamentari a 17, due defezioni e fanno 15. Il numero esatto che offriva Renzi da due giorni, prendere o lasciare. La minoranza di Michele Emiliano passa da dieci a tre eletti, un trio pugliese che deve dare garanzie di fare la guerra a Massimo D’Alema, contro di lui in Salento Renzi schiera l’ex dalemianissima Teresa Bellanova.

MA NON SONO SOLO le minoranza ad essere asfaltate. Le correnti di maggioranza sono ridotte a un circolo culturale. Il vicesegretario Maurizio Martina passa da 40 a 10 eletti, i Giovani turchi del presidente Matteo Orfini da una trentina a 12 (altri 7/8 devono tentarsela) ma la mano più pesante si abbatte su Areadem dell’ormai ex potentissimo Dario Franceschini, l’uomo che nel febbraio del’14 era andato a Palazzo Chigi ad annunciare a Enrico Letta la fine della sua presidenza del consiglio: la sua area è ridotta da 90 a una decina. Franceschini la prende con freddezza (per ora) e come Orlando si adegua: «Adesso dobbiamo iniziare la campagna elettorale», gli fa eco.

IL RIDIMENSIONAMENTO delle ambizioni del Pd, che fa i conti su 200 eletti sicuri dai 400, c’entra. Ma non con le sproporzioni che il segretario impone. Renzi ha stracciato le quote congressuali ma ha anche scelto fra i candidati delle correnti (anche se lo nega) . La sua strategia era chiara da tempo: i prossimi gruppi parlamentari saranno una guardia pretoriana selezionata fra affidabili e affidabilissimi, pronti a difendere nel partito un segretario in odore di sconfitta e in parlamento la ’necessità’ delle larghe intese. Senza polemiche e nuove scissioni.

PER FARLO, HA COLPITO l’area di provenienza Ds, con certosina attenzione per quelli che erano vicini al presidente emerito Giorgio Napolitano: l’ex viceministro degli Esteri Enzo Amendola (in posizione praticamente ineleggibile), Andrea Manciulli, presidente della delegazione Nato del parlamento italiano, Lia Quartapelle, della commissione esteri, ma anche i liberal Giorgio Tonini e l’ex viceministro Morando (che si erano fatti indietro prima delle liste).

«QUAL’È IL SENSO di non candidare gente seria e preparata, protagonista di tante battaglie importanti, come De Vincenti, Nesi, Rughetti, Tinagli, Realacci, Manconi», chiede su twitter il ministro Calenda: «Spero che nelle prossime ore ci sia un ravvedimento operoso».

RENZI REPLICA GELIDO: «Quando vai a chiudere un elenco di persone con meno spazi di prima c’è sempre amarezza e dispiacere ma è fisiologico e umano il ricambio e il cambiamento. Vediamo cosa succederà nelle prossime ore, se qualcuno rinuncerà». In quota ’società civile’ entrano le avvocate Lucia Annibali e Luisa Toia, il saggista Giuliano Da Empoli, i giornalisti Tommaso Cerno e Francesca Barra, il maestro di strada Marco Rossi Doria, annuncia. Ci dispiace per gli altri, dice neanche fosse Celentano. «Dopo di che i drammi della vita sono di chi non ce la fa ad arrivare a fine del mese», sfotte. «Il Pd è con me», conclude. E adesso è chiaro a tutti, ma proprio a tutti, che fine fa chi non sta con lui.

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