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Renzi alza la posta, Conte va a vedere Pd e 5S ora frenano

Renzi alza la posta, Conte va a vedere Pd e 5S ora frenano

Governo È una giornata di poco tranquilla inimicizia, ostilità non più velata, insofferenza che va degenerando in mancanza di sopportazione anche sul piano personale. Il Next Generation Eu è sbloccato, arrivano […]

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 12 dicembre 2020

È una giornata di poco tranquilla inimicizia, ostilità non più velata, insofferenza che va degenerando in mancanza di sopportazione anche sul piano personale. Il Next Generation Eu è sbloccato, arrivano gli euro e ne arrivano tanti, ma non c’è tempo di festeggiare. Perché Renzi rovina la festa al premier con un’intervista al Paìs, e certo non ha scelto per caso, proprio nel giorno della Festa del Recovery, un megafono europeo invece che nazionale: «Se Conte vuole i pieni poteri come Salvini gli togliamo la fiducia». Da Bruxelles il premier, consapevole del ruolo eminente che il quadro europeo gli assegna, l’uomo del Recovery Fund, il primo a proporlo, risponde per le rime. Più diplomatico ma nella sostanza ferrigno: «Continuerò finché avrò la fiducia di ogni forza di maggioranza. Ci confronteremo con le singole forze politiche». Pensa a incontri con i capigruppo, non con i leader, anche per evitare il faccia a faccia con l’arcinemico di Rignano.

MA IL MESSAGGIO è un altro: «Ci sono istanze molto critiche. Dobbiamo capire cosa nascondono, quali obiettivi». È come dire che Renzi maschera dietro questioni apparentemente di merito solo sordidi appetiti. Forse il messaggio non arriva a tutti ma il diretto interessato lo coglie al volo e non gradisce.

NEL PD È IL MOMENTO del piede sul freno a tavoletta. Il Nazareno continua a volere un rimpastone che somigli molto da vicino a un Conte ter. Condivide in larghissima parte le critiche di Renzi. Ma teme. Cosa? Tutto. Il Colle che blinda Conte. Il rischio di elezioni che, con questa legge elettorale, tanto varrebbe darla vinta alla destra a tavolino. L’immagine devastante di chi tradisce e butta giù il proprio governo. La frenata è corale, da Bettini per cui la sola alternativa a Conte è il voto, mettendo da parte il rimpastone da lui stesso invocato, a Zingaretti che impugna l’idrante cercando di spegnere l’incendio: «Nessuno deve chiedere a nessuno la marcia indietro. Dopo l’ok al Piano si aprirà una fase di confronto, lo ha confermato il ministro Amendola». Dopo l’ok, non prima, ma è un particolare. Orlando, il vice, evoca addirittura il rischio di un «Papeete natalizio». Tra i 5S tira la stessa aria. Di Maio la pensa come Zingaretti (e come Renzi). Fosse per lui Conte sarebbe presto un ex. Ma la pattuglia dei ministri la vede diversamente, Bonafede anzi si lascia travolgere dall’ira: «È irresponsabile attaccare il governo, oltre tutto su un giornale estero». Durissimi anche i capigruppo di LeU Fornaro e De Petris: «Minacciare la crisi è da irresponsabili. Non è il modo di stare in una maggioranza che non ha alternative».

Con Pd e Di Maio in piena ritirata, il Colle dalla sua parte, con la pandemia e la crisi economica che aiutano parecchio, il presidente Conte dovrebbe essere in una botte di ferro. Non è così, perché Renzi lo vuole fuori dai giochi e senza una mediazione a lui molto favorevole sul Recovery italiano e la sua governance farà cadere il governo. È convinto che qualsiasi cosa si dica oggi sulle elezioni inevitabili se cadesse Conte non sarà ripetuta se la crisi arriverà davvero, neppure se a dirla è il capo dello Stato. È probabile che abbia ragione, non certo. È un azzardo, ma l’uomo è da sempre proprio questo: un giocatore d’azzardo.

TUTTO DIPENDERÀ da Conte. Se tenderà la mano a Renzi e forte del rinnovato sostegno dei principali alleati arriverà a una mediazione, resterà in sella. A gennaio affronterà il nodo del rimpasto da una posizione di forza e potrà concedere il minimo indispensabile per garantirsi la permanenza a palazzo Chigi. Se sceglierà lo scontro frontale con il capo di Iv, anche i bookmakers più prudenti daranno la crisi 5 a 1. Se non subito, in gennaio.

Salvini annusa i venti di crisi e fa la sua mossa, si dice pronto a sostenere un governo Conte di unità nazionale per portare l’Italia al voto. Meloni si smarca seduta stante, «mai al governo con Pd e M5S», ma al momento i due litigano sul nulla. Se si arrivasse alla crisi Salvini avrebbe tutto l’interesse a evitare un rinvio del voto. Ci sarebbe tempo di cambiare la legge elettorale e un modello per lui migliore di questo non c’è verso di trovarlo: vittoria facile e garantita.

L’offerta non ha nulla di generoso né di responsabile. Serve solo a mettere in campo una formula che renda certo lo scioglimento delle camere. Sulla carta è quello che, se cadesse Conte, chiederebbero tutti, dal Colle ai partiti di maggioranza. Nella realtà, e nei calcoli di Renzi, il quadro potrebbe essere diverso.

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