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Renzi all’attacco: «Mai più subalterni ai pm»

Renzi all’attacco: «Mai più subalterni ai pm»

Governo Premier furioso con i magistrati di Potenza: «Ogni giorno sui giornali il nome di un ministro»

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 10 aprile 2016

Da Napoli, dove è tornato per dimostrare che due sassi certo non lo spaventano, Renzi dichiara guerra. «Avete tutto il nostro sostegno», assicura ai magistrati. Però «le sentenze si fanno nei tribunali». Però evitando ogni «subaltermità». Però segnalando che l’ultima settimana non è stata facile, perché «c’è stata un’offensiva mediatica. Ogni giorno casualmente usciva un nome di un ministro o di un sottosegretario». Se la prende con i media, Matteo Renzi, ma ce l’ha con i magistrati di Potenza. Sa bene che quelle intercettazioni fitte di nomi sono uscite di lì.
La contromossa, annunciata a porte chiuse nella riunione del consiglio dei ministri di venerdì e già delegata al ministro della Giustizia Orlando, sarà un’accelerazione e un irrigidimento della legge sulle intercettazioni. Il pacchetto giace al Senato da 8 mesi. Non piace alla sinistra del Pd proprio perché mira a imbavagliare la stampa quando si tratta di intercettazioni. Non piace neppure alla destra, inclusi gli alleati di governo, perché interviene sui termini della prescrizione. Ma ora l’ordine del capo è tassativo: la situazione va sbloccata.
La trovata astuta consiste nel correggere i passaggi sulle intercettazioni integrandoli con la «circolare Spataro», quella stilata nel febbraio scorso dal procuratore di Torino e approvata da una cinquantina di pm che chiede la distruzione, al termine delle indagini preliminari, delle intercettazioni non determinanti ai fini dell’indagine o contenenti «dati sensibili». Nell’insieme la riforma, tanto più se così integrata, interviene non tanto sulle intercettazioni in sé quanto sulla loro diffusione pubblica.
La questione è delicata. E’ sin troppo ovvio che la marea di conversazioni privatissime tra l’allora ministra Guidi e il suo compagno pubblicata negli ultimi giorni aveva il solo scopo di titillare il voyeurismo dei lettori per vendere qualche copia in più. Però è altrettanto vero che da numerose altre intercettazioni è emerso un quadro che, al di là della rilevanza sul piano strettamente penale, è senz’altro di enorme importanza politica e rientra in pieno nel diritto di informazione.
E’ proprio l’emergere di una realtà scomoda per quel che dice dei governanti, colpevoli o innocenti che siano in punta di codice, che Renzi vuole evitare a tutti i costi. E tanto più lo vuole perché non gli sfugge che l’aver rubricato Federica Guidi come «parte offesa» è in realtà una mela avvelenata. In quanto tale, infatti, la ex ministra resta nell’inchiesta, e i pm possono continuare a indagare su di lei.
La missione non è comunque facile. Prima di tutto Renzi deve trovare nei prossimi giorni un’intesa di maggioranza, pur scontando l’ennesima rivolta della sua minoranza interna: compito reso difficile dal capitolo sulla prescrizione, al momento stralciata ma che il governo intende a tutti i costi e al più presto reinserire. Né potrebbe fare altrimenti perché una legge che intervenisse sulle intercettazioni ignorando la prescrizione sarebbe troppo perfino per Matteo Renzi. In secondo luogo la norma conta una trentina di articoli, e il presidente della commissione Giustizia di palazzo Madama, il forzista Nitto Palma, prevede per l’approvazione definitiva tempi biblici. I soldatini di Renzi sono più ottimisti. Complice l’attività indefessa del capogruppo di commissione a Lumia, sperano di portare a casa il risultato del Senato entro giugno.
Oltre che non semplice, la crociata di Renzi è però anche pericolosa. Il premier ha messo nel conto un probabile scontro con la magistratura, in particolare con l’Anm del nuovo presidente Piercamillo Davigo. Però, contrariamente a quanto immagina, quello scontro non gli dispiace. Un po’ perché la sua propaganda si basa anche sulla presenza continua di un nemico, di qualche “casta” da denunciare nei suoi privilegi all’opinione pubblica. Ma molto perché l’eliminazione di tutti i “corpi intermedi” con i quali il governo è costretto a trattare, dai sindacati alla magistratura, è parte integrante del suo programma. Quello vero, non quello che racconta al pubblico nelle abituali vesti dell’imbonitore.
Il rischio più grave però è che l’offensiva contro le intercettazioni, subito dopo uno scandalo come quello di Tempa rossa, finisca per abbassare ulteriormente la popolarità già più che scalfita del governo. Il premier conta sulle proprie doti di propagandista per rovesciare la situazione. Si vedrà sin troppo presto se azzarda troppo o no.

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