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Religione e politica: un governo secolare nel nome di Ram

Religione e politica: un governo secolare nel nome di Ram – Reuters

India a partire dagli anni Ottanta Ram diventa invece simbolo di un induismo militante, aggressivo e mascolino: spesso è raffigurato da solo, riccamente armato e pronto alla guerra, muscoli contratti nello sforzo di tendere l’arco e i capelli lasciati sciolti al vento.

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 25 novembre 2013

Religione e laicità dello stato. Potere spirituale e potere temporale. Entità che, secondo le istruzioni per l’uso della democrazia, solo nella separazione possono garantire il corretto funzionamento della cosa pubblica. In India, patria per antonomasia della spiritualità e la più grande democrazia del mondo, nell’applicazione pratica del concetto la teoria è profondamente stravolta. Sebbene l’India indipendente sorta nel 1947 avesse un cuore secolare sostenuto dalla politica di Jawahrlal Nehru (primo Primo Ministro indiano), tuttavia era stato l’uso, da parte del Mahatma Gandhi, di simboli e tematiche religiose ad aver mobilitato le masse e portato poi alla fondazione repubblicana.

La religione come mezzo per la mobilitazione è diventata prerogativa soprattutto di organizzazioni hindu nazionaliste sorte nel corso del Novecento: parliamo del Rhastrya Swayamnsevak Sangh (Rss), organizzazione culturale nata nel 1925, e del Vishwa Hindu Parishad (Vhp), organizzazione religiosa fondata nel 1964. Entrambe sono frutto della stessa ideologia, l’Hindutva, che fa dell’essere hindu (inteso in senso lato, senza considerare le migliaia di sette che formano quello che oggi chiamiamo induismo) il proprio credo, ponendosi l’obiettivo di riportare alla gloria la “nazione indiana”.

Questo impianto ideologico è diventato il sostrato dalla destra nazionalista che negli anni Ottanta si è organizzata nel Bharatiya Janta Party (Bjp). Il Bjp ha spesso usato la religione per giustificare la propria lotta politica supportando la teoria che l’India, essendo un paese essenzialmente hindu, per diventare davvero una nazione laica dovrebbe diventare un Hindu Rashtra (governo hindu). Tolleranza, apertura e generosità, sostengono gli ideologi dell’Hindutva, sono capisaldi dell’induismo e appartengono all’epoca d’oro precedente l’invasione “islamica”; quando l’India era ancora Bharat – il nome sanscrito del subcontinente indiano –, una terra pura e incontaminata, salda sulle proprie tradizioni millenarie e forte delle proprie divinità. Un’era sfavillante ben descritta dal Ramayana, testo d’eccellenza dell’epica indiana che narra le vicende di Ram, sovrano sostenitore del dharma hindu. Un sovrano, un avatar, un dio, un caposaldo dell’induismo che racchiudeva tutti i valori promossi dalla destra hindu. Un glorioso eroe nazionale.

L’uso politico di Ram non compare nel XX secolo, ma è presente sin dall’antichità (si parla del I secolo a.C.) variando al variare delle vicende storiche. Così se nel I secolo a.C. in molte iscrizioni dinastiche hindu ci si riferiva a Ram come modello di re cui aspirare, a partire dall’XI secolo la figura del monarca viene completamente identificata con lui. Infatti, fu il confronto coi nuovi invasori afghani (a partire da Mahmud di Gazhni e successivamente Muhammad Ghori, i primi ad aver instaurato un regno nel subcontinente tra l’ XI-XII secolo) che la figura del sovrano venne divinizzata, in contrasto con la demonizzazione dello straniero. Il Ramayana, descrivendo le avventure di Ram e soprattutto la sua vittoria sul demone Ravana, rappresentava un modello eccellente per fornire un immaginario di un Altro come deviato e minaccioso.

Una simile opposizione tra hindu e musulmani è stata sfruttata anche da Rss/Vhp e Bp alla fine degli anni Ottanta, quando per fini politici si diede vita al movimento Ramjanmabhumi (terra di nascita di Ram, dal sanscrito). Questo nasce allo scopo di liberare il presunto luogo di nascita di Ram che era stato occupato dalla moschea di Ayodhya (Uttar Pradesh) costruita dall’imperatore Babur tra il XV-XVI secolo. Per supportare il movimento, Vhp e Bjp hanno storicizzato l’idea che per la costruzione della moschea fosse stato distrutto un tempio hindu. Una tradizione di origine abbastanza recente (riportata solo da fonti coloniali) elevata però a verità storica diffusa con ogni mezzo possibile: video, magazine, libri e cassette hanno efficacemente influenzato la coscienza delle masse e reso tale versione della storia quella ufficiale. La Babri Masjid è così diventata simbolo di un’onta da far pagare ai discendenti di Babur. Anche col sangue.

La stessa raffigurazione di Ram è stata manipolata a fini propagandistici: il Ram creato dal movimento Ramjanmabhumi si distacca fortemente dall’iconografia classica. Nell’iconografia tradizionale Ram è sempre con Janaki (nota anche come Sita, la sua sposa) e Lakshmana (il fratello), spalla contro spalla con lo sguardo fisso all’orizzonte e il volto sorridente; Hanuman (il dio scimmia, devoto d’eccezione di Ram) di solito è di profilo, ai loro piedi. Ram ha l’arco ma non lo usa, poiché rappresenta il mediatore dell’ordine universale, giusto esempio di comportamento etico.

Nei poster diffusi a partire dagli anni Ottanta Ram diventa invece simbolo di un induismo militante, aggressivo e mascolino: spesso è raffigurato da solo, riccamente armato e pronto alla guerra, muscoli contratti nello sforzo di tendere l’arco e i capelli lasciati sciolti al vento. Ram si libera di ogni parvenza pacifica diventando Il guerriero, ritratto mentre scaglia una freccia con l’immagine del futuro tempio ai suoi piedi.

Al Ram combattente è stato affiancato anche il Ram infante, realizzato in modo da sembrare un bambino reale, immagine complementare necessaria per abbracciare con un solo mito due audience diverse: da una parte il Ram virile e muscoloso si rivolge agli uomini per stimolare il desiderio di rivalsa e forza; dall’altra il Ram bambino si rivolge alle donne, cercando di risvegliare un istinto materno protettivo.

Vhp e Bjp, servendosi della rivisitazione del mito, cercano di diffondere un modello di Ram-eroe nazionale e del Ramarajya (governo di Ram) come nuova configurazione politica e religiosa. Per Gandhi il Ramrajya indicava la vera democrazia, dove il più umile dei cittadini poteva ricevere la stessa giustizia riservata al re, dunque l’ideale perno su cui fondare il governo dell’India indipendente. Nell’Hindutva, il Ramrajya è sinonimo di giustizia, di determinazione e disciplina e, soprattutto, ispira la realizzazione di un governo a trazione hindu.

Il movimento Ramjanmabhumi ha dato una svolta sostanziale alla politica indiana: ha reso il Bjp un partito di respiro nazionale in grado di competere con l’Indian National Congress (Inc) della dinastia Nehru-Gandhi – formazione politica simbolo della lotta per l’indipendenza – e ha dato vita ad un approccio politico in cui il sentimento religioso delle comunità riveste un ruolo di primo piano, preponderante rispetto agli ideali secolari dei quali l’Inc si fa primo promotore (spesso, in verità, solo a parole).

In una rincorsa alla politicizzazione della religione, anche l’Inc, dagli anni Ottanta, ha iniziato ad usare una retorica simile alla destra hindu, supportando delle politiche a sostegno ora di una comunità (vedi il caso Shah Bano ora dell’altra (come l’apertura dei cancelli della Babri Masjid dopo la chiusura del 1949). Nelle mani della destra stretta intorno al Bjp l’uso della religione rimane comunque di gran lunga più strumentale, parte di uno specifico apparato ideologico di stampo nazionalista.

Nonostante la propaganda, il Bjp in realtà ha dimostrato di non essere intenzionato a creare uno stato basato sulle norme dei codici religiosi tradizionali hindu, né vuole supportare a spada tratta progetti religiosi. Infatti, quando l’Uttar Pradesh era governato dalla formazione nazionalista hindu (1991, 1997) la costruzione del tanto agognato tempio di Ram rimase comunque ferma allo stadio teorico, mantenendo l’obiettivo come elemento programmatico da continuare a giocarsi in periodo elettorale.

Un miraggio verso cui tendere proseguendo nella meticolosa opera di radicalizzazione del conflitto tra comunità che ha spesso portato a scontri violenti tra hindu e musulmani, una minoranza religiosa da 180 milioni di persone. Tutto sangue versato nel nome di Ram.

*Daniela Bevilacqua nasce a Roma nel 1983. Durante gli studi universitari in Lingue e Civiltà Orientali sviluppa un rapporto odi et amo con l’India. Dapprima interessata a studi storici sulla religione, decide poi di focalizzarsi sul nazionalismo di estrema destra hindu e i movimenti politici ad esso connesso. Al momento lavora ad una ricerca storico/antropologica sul ruolo del guru tradizionale nell’India contemporanea.

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