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Regno Unito al voto: testa a testa, ma i favoriti sono i Tories

Regno Unito al voto: testa a testa, ma i favoriti sono i Tories

Gran Bretagna I giochi sono finiti. Gli autobus e gli elicotteri elettorali tornati in garage, i telefoni si raffreddano, e i social network si placano in uno di quei momenti di cui […]

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 8 maggio 2015

I giochi sono finiti. Gli autobus e gli elicotteri elettorali tornati in garage, i telefoni si raffreddano, e i social network si placano in uno di quei momenti di cui tutto il bailamme digital-comunicativo nutre sacro terrore: l’horror vacui dell’attesa, del silenzio, dell’immobilità.

Una percentuale, al momento di andare in stampa ancora ignota, dei cinquanta milioni d’iscritti al registro elettorale si sta recando alle urne, nel religioso mutismo della Bbc, che osserva un giorno di tregua per non influenzare il voto e aggiunge così ulteriore suspense al meccanismo spettacolare della democrazia.

Si attende febbrilmente lo spoglio delle urne dei cinquantamila seggi elettorali sparsi su e giù per il Paese: non solo dai leader politici e dai loro sostenitori, ma anche e soprattutto dai soliti mercati e dall’Unione Europea in particolare, che teme il possibile connubio Cameron-Farage in pungente salsa euroscettica non meno dell’improbabile rigurgito criptosocialista nei fondali del subconscio di Ed Miliband.

È l’ora in cui i leader si stanno godendo una breve, immeritata tregua dal loro folle zigzagare come galline decapitate – o come quelle rock star strafatte che in tournée non sanno mai dove sono – in giro per collegi che non hanno mai visitato, dopo aver baciato bambini sconosciuti a raffica, essersi immolati anima e corpo al cretinismo selfie che imperversa qui come nel resto del pianeta opulento, indossato gialli elmetti protettivi da cantiere, fatto promesse impossibili da mantenere, sorriso fino a slogarsi le mandibole e faticosamente zittito quella parte di coscienza che, prematuramente seppellita non si sa dove, forse ancora riesce a produrre urla soffocate.

Ed è probabile che siano assaliti da un senso di scoramento e impotenza. Perché non importa quanta energia abbiano profuso nel loro ingrato compito, questa campagna elettorale di sei settimane non ha cambiato affatto le percentuali dei sondaggi, che si sono mantenute immobili come un elettroencefalogramma piatto. Dopo milioni di chilometri, parole, incontri, comizi, contraddittori, dibattiti più o meno tutti i leader hanno finito più o meno esattamente con le percentuali di partenza.

E per la seconda volta dal 2010 la minacciosa fisionomia del parlamento «appeso» si staglia all’orizzonte, facendo pensare più a quella di un impiccato. I due partiti maggiori, Tories e Labour, attorno al 35%, un 11% per l’Ukip, il 9% per i Lib-Dem, un 5% per i nazionalisiti scozzesi e un 4% per i verdi. Tutto più o meno già anticipato ripetutamente dalle precedenti proiezioni, e che conferma spietatamente una cosa: a meno che un improvviso raptus anarcoide non colga l’elettorato spingendolo a fare esattamente il contrario di quello che il sondaggismo imperante ha previsto, non importa quanto abbiano faticato finora: il grosso del lavoro propriamente politico deve ancora cominciare.

Soprattutto David Cameron, il cui partito ha insistito come un disco rotto attribuendosi il ruolo di salvatore dell’economia quando a leggere a fondo i benefici di questo salvataggio riguardano i soliti abbienti, sembra uscirne male. Non solo per via delle ultime, coreografatissime piazzate a maniche rimboccate, rubizzo di finta passione oratoria esattamente dopo essersi visto mettere in discussione la dedizione all’ingrato lavoro del capo, lui, un leader cresciuto negli stenti del villone avito. Ma soprattutto per aver ormai imboccato una via anglocentrica, che non ha certo alienato i Tories scozzesi bensì i laburisti, oramai passati in cavalleria nelle fila del partito di Nicola Sturgeon dopo essersi visti sfumare la possibilità di svignarsela dall’unione con il recente, perduto, referendum. E l’allarme scomposto nelle file Tories è confermato dall’inedita, berlusconiana mossa del Daily Telegraph, voce ufficiosa del partito e dell’1% nazionali: hanno scritto personalmente a tutti gli iscritti alle loro newsletter pregandoli di votare per i Tories. E una simile, quasi illiberale ingerenza nella terra del liberalismo denota panico. It’s democracy, stupid, verrebbe da parafrasare: riposi in pace il bipartitismo perfetto, fonte di ogni governabilità.

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