Visioni

Regina Bianchi, Filumena come Italia arcaica e futura

Regina Bianchi, Filumena come Italia arcaica e futuraRegina Bianchi in Filumena Marturano, ripresa tv del 1962

Teatro Si è spenta a 92 anni la grande attrice napoletana, musa prediletta di Eduardo De Filippo

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 7 aprile 2013

Filumena nun c’è cchiù. Davvero con Regina Bianchi, spentasi nel sonno venerdì, a 92 anni, se ne va la più grande Marturano che la memoria ricordi. Migliore perfino della Loren nazionale che De Sica trasmutò nel più famoso dei personaggi eduardiani, nel film Matrimonio all’italiana nel 1964. E più famosa perfino per tutto il pubblico di Titina De Filippo, per quale il fratello Eduardo aveva scritto quel ruolo nel 1946, attingendo a un reale fatto di cronaca napoletano. Ma Regina Bianchi, attrice tanto grande quanto schiva (se non scontrosa) l’aveva fatta meglio, in quella mitica versione televisiva andata in onda il 5 febbraio del 1962, e da allora tante volte replicata, per intero o per citazioni.

Il grande autore l’aveva voluta a fianco a sé come protagonista femminile di tutto quel gruppo di opere scritte subito dopo la guerra, vera prima apertura di sipario dopo il buio del fascismo, prima ancora che Luchino Visconti e Giorgio Strehler dessero di nuovo vita piena a un linguaggio che il ventennio aveva congelato tra telefoni bianchi e mazzi di rose scarlatte. Napoli milionaria!, Questi fantasmi, Filumena Marturano e, successiva di dieci anni, Sabato, domenica e lunedì, tutti capolavori della letteratura e fondamenti del teatro: in tutti quei fantastici ruoli femminili Regina Bianchi in tv fu madre e regina di una Italia diversa che andava nascendo, si trasformava, e tra boom sognati e bidoni in agguato, prendeva i contraddittori percorsi che portano a oggi, con grande moralità, e altrettanti dubbi sulla giusta direzione.

Quei titoli entrati nella leggenda diedero all’attrice un ruolo nazionale, come a Eduardo il corrispettivo maschile; ma certo tra tutti Filumena era la più forte, e in qualche modo, attingendo ai principi più antichi, la più moderna e «legalitaria». In nome di un ordine ancestrale, quasi sacrale, rovesciava nella modernità dei diritti «e ffiglie so’ ffiglie, – seguito con l’occhio sgranato da – e i’ me ggelaie». E il suo monologo interiore appena sospirato, finiva per coinvolgere chiunque. Non importava che si arrivasse a una situazione di vero ricatto rispetto all’attonito Domenico Suriano, ansioso solo di riconoscere in uno dei tre giovanotti il sangue del suo sangue (altro che macho e maschilista, il vecchio puttaniere). E del resto il figlio veniva da un incontro di bordello, perché Filumena quella professione esercitava in gioventù, prima di «imborghesirsi» a casa Suriano come semplice favorita.

Per ottenere le nozze, prima si finge malata, poi scopre l’arma segreta del figlio naturale del padrone di casa.
La storia, per l’epoca (sia del dopoguerra sia anche del boom, in cui l’Italia si apriva al mondo, ma ancora metteva alle Kessler i mutandoni a opacizzarne le lunghe gambe) aveva un sapore proibito. Tanto più che la legge Merlin aveva appena chiuso le pubbliche case di piacere. Eppure a Regina Bianchi riuscì un miracolo straordinario. Lei aveva iniziato a recitare dalla nascita al seguito della famiglia di artisti, e poi era cresciuta in palcoscenico niente meno che con Viviani e poi con De Filippo, ma per motivi di famiglia, e per vivere pienamente la sua storia privata fatta di marito e figlie, il teatro lo aveva abbandonato. Fu Eduardo, poco prima di cominciare a pensare al suo primo ciclo di commedie in tv, a reclamarla e quasi costringerla a tornare in scena, prima in palcoscenico e poi negli studi Rai. Aveva intuito il maestro che quella donna, quel volto, quelle movenze, moderna e contemporanea certo, ma di una solenne maestà meridionale, sarebbero riusciti a legittimare anche le radici più «scabrose» di quelle donne: Filumena antica prostituta, come Amalia adultera e contrabbandiera di Napoli milionaria!

E così avvenne: Regina Bianchi grazie a Eduardo e alla tv, divenne la regina madre d’Italia. Non perché facesse la santarella, ma perché dava a quelle anime perdute di peccatrici (agli occhi di un’Italia ancora abbastanza bigotta) la forza e lo spessore di grandi umanità, di sofferenze che quasi scavalcavano la drammaturgie di quelle vite. Era così sofferta, convinta, vissuta, quell’attrice che dava loro corpo, da rendere inutile ogni moralismo per passare immediatamente alla solidarietà, e anche all’ammirazione assoluta. Era successo del resto in quegli anni anche a Mosca, dove Regina Bianchi, dopo molte resistenze, aveva accettato dal 1959 di prendere i ruoli di protagonista femminile nelle commedie di Eduardo, ricoperti fino ad allora prima da Titina e poi da Pupella Maggio. Alla prima di quella Filumena Marturano al Malyj, c’erano state innumerevoli chiamate e circa mezz’ora di applausi.

Eppure, da allora, benché sia stata presente in moltissime occasioni sulla scena, in tv e sullo schermo, Regina Bianchi non ha voluto «approfittare» dell’immensa popolarità raggiunta. È apparsa diverse volte in teatro (ma le sue ultime, rare apparizioni erano legate soprattutto a serate d’onore, affettuose prima ancora che celebrative, qualche anno fa alle Ville Vesuviane, recentemente al Mercadante di Napoli); qualche volta in televisione ancora all’epoca degli sceneggiati, dai Grandi Camaleonti di Fenoglio al Gesù di Nazareth di Zeffirelli, anche se il suo volto ha campeggiato pure a fianco di Elisa di Rivombrosa. Al cinema si è concessa un po’ di più: non si è sottratta alle sceneggiate girate per il grande schermo da Alfonso Brescia, ma il suo nome e la sua personalità sono apparse anche in film importanti: dal sempre inquietante Giudizio universale di Zavattini e De Sica, a Spara forte, più forte, non capisco che lo stesso Eduardo girò dalle sue Voci di dentro, alle Quattro giornate di Napoli di Nanni Loy, a Kaos dei fratelli Taviani.

Ed è rimasta sempre grande e scontrosa Regina Bianchi, nella sua casa romana affacciata su Villa Ada. Una grande attrice, in cui un paese intero si è rispecchiato, apprezzandola. Una immagine importante dell’Italia appena passata, e che sperava e credeva, e si dava da fare in tutti i modi, anche i più disinvolti, perché diventasse migliore.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento