Ultimo incontro, il 7 dicembre, per il REFF, Ribalta Experimental Film Festival di Vignola, Modena. Il Festival vero e proprio (alla sua seconda edizione quest’anno) si è svolto in marzo, ma iniziative si tengono anche in altri periodi, a segnare un impegno di diffusione e approfondimento oltre le giornate primaverili, anche con esperienze laboratoriali.

La serata è stata dedicata a un incontro con Ilaria Pezone, autrice la cui ricerca si muove con grande libertà fra il poemetto lirico e l’autorappresentazione performativa (con aspetti anche ironici e surreali), memoria, quotidianità e riferimenti colti; fra dimensione diaristica e tessitura di effetti pittorici e di collage sulle immagini. Nel periodo del confinamento, 2020, ha realizzato con i suoi studenti di ripresa all’Accademia di Brera Strati del tempo risuonano: un progetto interrotto appunto dal lockdown e dedicato all’artista Angelo Falmi si è trasformato in un intenso dialogo a distanza fra le pagine di un vecchio diario del pittore e le micro-narrazioni della clausura di allieve e allievi; mentre Incedere e retrocedere= ascendere(testamento), definito «film musicale», intesse immagini d’archivio private, fra ricordi e presenza nell’oggi. Riferimento esplicito, nel lavoro di Pezone, l’ammirazione per Brakhage e la sua «difesa del cine-amatore»; e il territorio del cinema di prossimità (privato, amatoriale, sperimentale e d’artista) – titolo di un suo libro pubblicato nel 2018.

In piena sintonia quindi con una manifestazione nata dalla passione di Gianni Viterale (presidente dell’Associazione Ribalta) e Giovanni Sabattini (direttore del festival) per portare alla ribalta un cinema, inteso nelle sue espansioni anche nel video, fino al digitale – non omologato, non etichettabile e di ricerca, ricco di ibridazioni di linguaggi e portatore di uno sguardo altro. Alle attività che l’Associazione conduce da anni sul teatro, la musica, l’editoria si è quindi ora aggiunta la parte audio-visiva, fra laboratori con le scuole e rassegne: il titolo già significativo, una sorta di imperativo a rovesciare senso e sensi, con alcune lettere della scritta capovolte, trova un’eco e come una involontaria rima nei luoghi, come la «sala dei contrari» nei sotterranei dell’ex lavatoio della Rocca, restaurata e ora adibita a spazio culturale. Ribaltato, sotterraneo, contrario, culturalmente e politicamente militante: e lontano dalle metropoli, in piccoli centri come questo, che sempre più si rivelano ricchi di idee e di attività. Prossima edizione dal 16 al 18 marzo 2023.

C’è una piccola folla raccolta in strada, davanti alla porta a vetri: accanto al disegno del volto di Gianni Toti, poeta e videoartista (poetronico, si definiva: poeta elettronico), la scritta «Biblioteca Totiana. Visioni molteplici-un luogo della contemporaneità artistica». Docenti, studenti, il sindaco, il rettore dell’Università di Cassino, il presidente dell’associazione Gottifredo, Tarcisio Tarquini, artefice con Pia Toti Abelli del percorso che ha portato qui questo patrimonio.

È l’inaugurazione nel centro di Alatri, in spazi ampi e bellissimi, della nuova sede della Biblioteca Totiana. Ad arrivare qui è stato l’intero contenuto de La Casa Totiana, che a Roma raccoglieva nella grande sede di via Ofanto l’archivio, la videoteca, gli oggetti raccolti nel mondo, i quadri, le fotografie dell’artista: una «macchina per pensare» allestita con grande cura da Pia Abelli, moglie di Toti, dopo la scomparsa dell’artista nel 2007, spostando i materiali da Via dei Giornalisti, col riordino, la catalogazione e la fruizione; e stage, laboratori, incontri.

Un lavoro immane che dopo oltre 10 anni chiedeva nuove energie e il dialogo con una realtà in grado di attivarne possibilità di utilizzo e di rilancio futuro: così Pia Abelli ha deciso, in sintonia con persone a lei vicine in questa lunga e laboriosa fase e con altre legate da antica amicizia con Toti, di donare questo patrimonio all’associazione Gottifredo di Alatri: una realtà vivace, implicata in tanti progetti culturali, creativi e formativi, e promotrice quest’anno della prima edizione del Festival «Visioni molteplici. Cultura è circolare», curato da Giovanni Fontana (artista, performer e teorico di poesia e arti intermediali) e Silvia Moretti (studiosa di Toti e stretta collaboratrice de La Casa Totiana): confronto tra arti, ricerca, sperimentazione, musica, conservazione e rigenerazione del patrimonio culturale (così il sottotitolo).

Dal 27 settembre al 2 ottobre, nell’antica cittadina a un’ora da Roma che sale verso le mura ciclopiche, si sono susseguiti dibattiti e concerti, film e incontri, riflessioni sugli archivi e le biblioteche, fra tutela del passato e potenzialità delle ultime tecnologie.

E il Festival si è aperto proprio con l’inaugurazione della biblioteca, illustrata ai visitatori da ragazze e ragazzi che hanno partecipato con passione all’impresa. A fianco, una mostra di quadri della prima moglie di Toti, Marinka Dallos, pittrice di origine ungherese che aveva fatto parte del gruppo «Romanaïf»: anche il suo fondo è stato donato. L’intento è quello di far divenire questo luogo «un laboratorio di creatività», rivolto alla cittadinanza e alle scuole ma con progetti anche più estesi, nazionali e internazionali (molte le collaborazioni attivate da Toti con i paesi centro e sudamericani: presente all’inaugurazione anche il peruviano José Carlos Mariátegui, che aveva lavorato con Toti al videopoema Tupac Amauta).

I quasi 14.000 volumi di Toti, viaggiatore e lettore insaziabile, spaziano dalla letteratura e dalla poesia del mondo a preziose riviste, da dizionari di ogni tipo a volumi rari di storia e politica a libri e cataloghi sul cinema, la videoarte, il teatro, le arti, la scienza.

Un patrimonio multilingue accumulato nei decenni (Toti era nato nel 1924) cui si aggiungono i quadri, le fotografie, i film, i video, i vinili e CD di musica; e le sceneggiature anche inedite, i taccuini, i disegni, gli abbozzi di irromanzi, corrispondenze di un’intera vita di scrittore, poeta, giornalista, direttore di riviste, regista e videoartista quale è stato Toti. Che sarebbe contento al sapere che oggi, fra la sua vecchia macchina da scrivere e il suo visore degli ultimi anni per via di problemi agli occhi, si aggirano giovani e cittadini incuriositi, pronti a intraprendere un viaggio non solo nelle pagine, nelle immagini e nelle musiche della sua vita ma anche in progetti visionari e non convenzionali di conoscenza.

Liberare arte da artisti è il titolo della mostra dedicata a Giacomo Verde (pioniere della video-arte e del video-teatro italiano, videoartivista, scomparso nel 2020 a Lucca, dove viveva dal 1998) in corso al CAMeC, Centro Arte Moderna e Contemporanea di La Spezia fino al 15 gennaio 23.

È stata concepita come un «laboratorio» in movimento, articolata in diverse fasi dedicate a tre aspetti del lavoro di Verde: artivismo; tecnoarte e interazione; effimero, ossia performativo e teatrale. Tutti aspetti che in Verde sono stati sempre presenti e strettamente intrecciati. Giacché la dimensione dell’attivismo politico, inteso come arte e non come propaganda, ne ha sempre segnato gli interventi e l’interazione, legata alla formazione di cantastorie e quindi al teatro, a partire da quello di strada.

Tre sezioni, tre diverse inaugurazioni, a partire dal 25 giugno, con specifiche «azioni»: delle performance del Collettivo SuperAzione e di Officina Dada Boom di Viareggio; una «inedita» installazione interattiva, con ricognizione dei disegni – da parte di Andreina Di Brino, Università di Pisa – e dei processi creativi, e con docenti e studenti di Accademie; il teatro infine, con i tele-racconti rimessi in scena e in video da Carlo Presotto, e con un walkabout di Carlo Infante fra le opere, i documenti, gli scritti. Anche grazie alla presenza attiva del figlio Tommaso e di Anna Monteverdi (ex moglie di Verde, studiosa di teatro e multimedialità) è una mostra viva, affollata da tanti giovani ma anche da amici, artisti ed a, affollata da tanti giovani ma anche da amici e artisti.