Referendum, per Renzi l’arma del gossip
L'ultimo colpo basso del presidente del Consiglio è contro la Lega. "Maroni mi confessò di essere per il Sì". E si scatena la guerra dei retroscena: "Non è vero, è stato lui ha definire una merda la sua riforma"
L'ultimo colpo basso del presidente del Consiglio è contro la Lega. "Maroni mi confessò di essere per il Sì". E si scatena la guerra dei retroscena: "Non è vero, è stato lui ha definire una merda la sua riforma"
Il regalo per il 2 giugno a Matteo Renzi lo ha fatto Roberto Benigni, che esattamente un mese fa disse di essere «orientato a votare No» al referendum costituzionale. Ha cambiato idea, e in coincidenza con la decisione di Rai uno di rimandare in onda (ieri in prima serata) la sua trasmissione di quattro anni fa sulla «Costituzione più bella del mondo» ha annunciato a Repubblica che invece voterà Sì. Un ottimo spot per il presidente del Consiglio che alla ricerca di testimonial nel mondo dello spettacolo e delle professioni artistiche non era fin qui andato molto oltre gli scrittori Federico Moccia e Susanna Tamaro, che hanno firmato l’ultimo appello per il Sì assieme a diversi professori universitari.
Nel frattempo Renzi non ha rinunciato alla propaganda neanche in occasione della giornata della Repubblica. A una cittadina che lo ha acclamava nei pressi della parata del 2 giugno a Roma, ha chiesto un aiuto per vincere al referendum. Nel frattempo la ministra delle riforme Maria Elena Boschi è andata a Piombino per paragonare il lavoro del governo per la revisione costituzionale alla fatica di Sisifo. «È la volta buona per arrivare alla vetta della montagna», ha detto Boschi. Aggiungendo che quella delle riforma costituzionali, fino a oggi, è «una storia fatta di insuccessi, di progetti e di proposte di riforma che per un motivo o per un altro poi non sono mai andati in porto, si sono fermati prima di poter vedere la luce». La ministra ha poi sostenuto che «dai sostenitori del No non ho ancora sentito dire perché sono contrari nel merito della riforma costituzionale» – eppure proprio lei ha discusso nel merito con uno studente dell’Università di Catania pochi giorni fa, come testimonia un video diffuso in rete, e lo stesso nostro nostro giornale la settimana scorsa ha pubblicato trenta ragioni del Comitato del No.
Ma il vero colpo basso, il presidente del Consiglio lo ha tirato ieri alla Lega, trascurando per un giorno il Movimento 5 Stelle. Al Foglio Matteo Renzi ha raccontato che «l’altro giorno durante l’assemblea della Coldiretti, Maroni mi ha confessato che ha provato a far votare per il Sì la Lega nell’ultima lettura della riforma costituzionale proprio perché anche lui pensa che finirà così», cioè che «gli elettori grillini e leghisti appoggeranno il referendum costituzionale». Maroni naturalmente ha subito smentito: «Il mondo è pieno di casciaball. Non mi è mai passato per la mente di sostenere il referendum renziano».
Una dichiarazione praticamente obbligata, che però il leghista Roberto Calderoli, che nel corso del primo passaggio al senato era stato anche relatore della legge di revisione costituzionale, ha spiegato che carta canta». E cioè che «Maroni è stato l’unico governatore regionale nei mesi scorsi a venire in senato a criticare e contestare la riforma Renzi-Boschi, ed è tutto nero su bianco negli atti stenografici del senato. L’ha sempre criticata in ogni sua dichiarazione pubblica tanto da aver dichiarato che una volta passata la riforma sarebbe stato inutile avere dei governatori a guidare le regioni e che le loro funzioni avrebbero potuto essere ricoperte da un semplice commissario di governo».
Colpito sul vivo, però, il senatore della Lega ha deciso di rispondere con lo stesso metodo, quello della confidenza non verificabile. «A questo punto una confidenza la racconto io – ha detto – quella di un senatore di Forza Italia, non un verdiniano ma uno fedele a Forza Italia, che essendo solito andare a colazione da Renzi si è sentito raccontare dal premier che la sua riforma è, testualmente, una merda e lui ne è conscio ma che gli serve per eliminare la minoranza interna nel Pd. E ancora che la riforma è gradita in Europa e che una volta approvata, con il combinato della legge elettorale, lui avrebbe fatto l’imperatore per sessant’anni».
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