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Referendum, al quorum della democrazia

Fuoriluogo La rubrica settimanale a cura di Fuoriluogo
Pubblicato circa 4 ore faEdizione del 2 ottobre 2024

Ci risiamo. Ogni volta che un referendum raccoglie le firme necessarie parte la grancassa del «è troppo facile raccogliere le firme con lo Spid». E accade così che, comodamente seduto sul suo divano, il senatore della Lega Claudio Borghi annunci battaglia, brandendo proposte di legge per cancellare la possibilità di sottoscrizione digitale. Altrimenti, dichiara, «anche uno che vuol abolire il cappuccino si può svegliare e con quattro click ci arriva».

Andiamo con ordine. La possibilità di firmare con Spid referendum esiste dal 2021 quando, con un emendamento di Riccardo Magi, è stata recepita la decisione del Comitato Diritti Umani dell’Onu sul ricorso sulle limitazioni alla partecipazione democratica avanzato anni prima dal co-presidente dell’associazione Luca Coscioni Marco Gentili e da Mario Staderini, segretario dei radicali. Dall’Onu era arrivata una condanna all’Italia per le «irragionevoli restrizioni» che impedivano, ad esempio, a persone disabili di firmare il referendum per il semplice fatto di non poter uscire di casa a cercare un banchetto. Il tema, com’è ovvio, riguarda non solo le persone disabili ma anche, banalmente, i cittadini che vivono in piccoli paesi dove non hanno la fortuna di poter incontrare un banchetto di raccolta firme. L’Onu ha ribadito una cosa implicita anche nella nostra Costituzione: la democrazia non deve essere difficile e inaccessibile.

Così nel 2021 promuovemmo un referendum sulla cannabis che raccolse le firme in otto giorni. Da destra e da sinistra arrivarono i savonarola ad annunciare catastrofi sull’abuso che se ne sarebbe fatto. Ricordo una copertina de L’Espresso diretto da Marco Damilano: «La Spid democracy… che rischia di dare il colpo finale al Parlamento». Il colpo finale. In un Paese in cui oltre il 90% delle leggi sono decreti del Governo. In quegli stessi giorni la Lega del senatore Borghi promuoveva i referendum sulla giustizia. Ebbene, un partito al governo, con centinaia di parlamentari, consiglieri regionali, sindaci, attivisti, con a disposizione strutture enormi, denaro e massiccia esposizione mediatica, sapete come ha raccolto le firme per quei sei quesiti? Sudando ai banchetti sotto il sole e sotto la pioggia come vorrebbe Borghi? Con «quattro click» con la firma digitale? Macché. Ci hanno provato, non ce l’hanno fatta, e alla fine li hanno presentati con le deliberazioni di cinque consigli regionali, che è una alternativa prevista. Facile facile. Senza alcuno sforzo per i nostri eroi della democrazia. Ma i leghisti non sono stati gli unici a non raccogliere le firme sui referendum nonostante la Spid. Altri comitati ci hanno provato, prima sulla piattaforma di Itagile (il servizio privato che ha anticipato il governo), poi su quella del ministero della Giustizia.

Negli ultimi tre anni i tentativi di raccolta firme sono stati circa un centinaio. Alcuni di questi – penso al referendum contro il green pass – hanno ricevuto pure una grande copertura mediatica. Ma dopo cannabis hanno superato la soglia solo il referendum sull’autonomia differenziata e quello sulla cittadinanza. Quest’ultimo ha destato scalpore e allarme. Ma solo chi non è più in grado di ascoltare il paese può stupirsi del fatto che temi come la cannabis e la cittadinanza siano sentiti dalle persone e da quei giovani che accusiamo tanto di essere disinteressati alla partecipazione. La democrazia non è mai un male. È un male la sua limitazione: per questo lorsignori si dovrebbero preoccupare piuttosto di come riportare la Corte costituzionale nei limiti del dettato della nostra Carta ed evitare che i suoi pronunciamenti siano politicisti. Ancora, si preoccupino di come rimuovere il quorum del 50%+1 degli elettori in un paese dove a votare all’ultima tornata elettorale è andato solo il 48%. I referendum in questo Paese sono troppo facili? In realtà sono ancora troppo difficili.

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