Visioni

Reduci d’Europa tra passato e presente orfani della Storia

Reduci d’Europa tra passato e presente orfani della StoriaArturo Cirillo e Sabrina Scuccimarra in «Villino bifamiliare» – foto di Marco Ghidelli

A teatro Arriva in scena un’opera di Fabrizia Ramondino, «Villino bifamiliare», per la regia di Arturo Cirillo. Attraverso l'incontro di due coppie di coniugi, l’autrice mette in relazione due mondi politici e sociali

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 14 maggio 2022

Una bella notizia per l’intera cultura italiana è il ritorno in scena di Fabrizia Ramondino, attraverso una sua opera teatrale, dopo l’isolato esordio (in un vecchio e glorioso festival Astiteatro, nel 1994) del suo Terremoto con madre e figlia, ad opera di Mario Martone, con Anna Bonaiuto protagonista. La scrittrice, scomparsa nel 2008, ha lasciato diversi testi teatrali, mai pubblicati né andati in scena finora (tranne quel Terremoto) tutti scritti nei primi anni 90 del secolo scorso, in qualche modo «suggestionata» e stimolata dalla lettura di quelli di Thomas Bernhard. E forse anche da esser stata chiamata dallo stesso Martone a scrivere assieme la sceneggiatura di Morte di un matematico napoletano, il film sulla vita di un grande intellettuale d’opposizione come Renato Caccioppoli (un indimenticabile Carlo Cecchi).

ORA ARTURO CIRILLO, che ebbe modo di conoscere e frequentare la scrittrice quando lei si ritirò a vivere da Napoli a Itri, nel basso Lazio, rompe il ghiaccio di quel silenzio, con Villino bifamiliare, uno di quei testi, di cui il Teatro di Napoli promette ora la messa in scena e la loro graduale pubblicazione, inaugurata, presso Marotta&Cafiero editori, proprio da quel Villino.
Assistere oggi alla «bizzarra» convivenza che in quella casetta si svolge, apre scenari e interpretazioni, e forse anche qualche brivido di rilettura, sulla nostra storia recente. Bifamiliare è in effetti, letteralmente, la costruzione che troneggia in scena (di Dario Gessati), due soggiorni polifunzionali e girevoli, dove convivono (in maniera probabilmente coatta, perché vi sono anche due attendenti/sorveglianti, attenti e muti ma abbigliati in foggia militare) due coppie di «ex«. I primi due vengono chiaramente dalla smobilitata Ddr, ancora non completamente liberi dalle formule e dai rapporti istituzionali che quella «repubblica democratica« di stampo sovietico imponeva ai suoi abitanti, e tanto più alla sua burocrazia ufficiale. Il loro rapporto, oltre che matrimoniale, era evidentemente anche istituzionale, la cui eredità non riesce a spegnersi generando nomenclature, situazioni e battute generosamente comiche.

Il risultato è un «divertissement», per quanto molto amaro e stringente, su come siamo stati.

L’ALTRA COPPIA ci riguarda più da vicino, perché il marito si chiama non casualmente «Giuliotti« in una crasi scopertamente programmatica, ed è ridotto ormai alla semincoscienza, mentre scorrazza su una sedia a rotelle da una parte all’altra del palcoscenico. La moglie sembra un manifesto, o un frutto sommario, degli anni 80 e del loro affettato savoir faire. Nessuna delle due coppie appare in grado di avere un «domani», perché la replica all’infinito delle loro formalità mostra chiaramente la crisi che entrambi quei sistemi, attraverso i loro significativi rappresentanti, mostrano. E che i quattro si possono solo industriare e affannare a perpetuare. Senza naturalmente che l’operazione possa avere un senso o uno sbocco.
Il risultato è un «divertissement», per quanto molto amaro e stringente, su come siamo stati. E anche su quanto possiamo risultare impreparati a un futuro, accompagnati dalla partitura, dominata dal pianoforte, creata da Francesco De Melis, che si lega in maniera quasi «magica» alle luci (e le ombre) governate da Camilla Piccioni. Una sorta di valzer fatale su cui si affacciano, da un passato che non passa, gesti e comportamenti delle due coppie, la tedesca formata dallo stesso Arturo Cirillo e da Sabrina Scuccimarra, la italiota di Franca Penone e dello sfrecciante Rosario Giglio. In un fitto colloquiare che scopre dietro la loro pochezza riti e miti che abbiamo appena attraversato, e che si proiettano sinistri su un presente senza grandi possibilità di un domani.

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