«Cultura: Whatever it Takes» recita lo striscione che le lavoratrici e i lavoratori autorganizzati dello spettacolo srotolano davanti al Teatro Argentina di Roma, nella manifestazione di ieri che è seguita a quella unitaria dei sindacati – Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil – davanti al Teatro dell’Opera nella mattina, a cui hanno partecipato anche i segretari Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri. «Abbiamo indetto una manifestazione unitaria per rilanciare la necessità delle riaperture in sicurezza – ci spiega la segretaria nazionale di Slc Cgil Sabina Di Marco – perché tutto il Paese ne ha bisogno e non solo i lavoratori. Stiamo lavorando ai tavoli con il ministero, ma siccome l’apertura non sarà immediata è necessario avere i ristori, con una misura unica che consenta al settore un sostegno omogeneo».

A essere necessario, aggiunge, «è anche il rinnovo dei contratti: ce ne sono alcuni che non vengono rinnovati da 15 anni, ed esistono figure professionali come gli attori che ancora non ne hanno uno». I soldi del Recovery Fund, osserva nel suo intervento Landini, devono rappresentare un’occasione anche per un investimento nel settore di cultura e spettacolo, in cui il livello di precarietà è «senza precedenti» e vanno garantiti i «diritti minimi dei lavoratori». Una «riforma» che è il terzo punto cruciale chiesto dai sindacati del settore, fortemente condiviso anche dalla piazza degli auto organizzati: «Pensiamo che tutte le manifestazioni siano utili perché convergono sull’idea di riformare il sistema, con garanzie e diritti per tutto il settore», dice Di Marco.

LO RICHIEDONO infatti a gran voce i lavoratori a Piazza Montecitorio, dove si sposta nel pomeriggio la mobilitazione degli autorganizzati (ma sono 20, da Palermo a Milano, le piazze che oggi hanno ospitato le manifestazioni), animata da collettivi, spazi sociali e circoli con l’intenzione di non lasciare il presidio finché non verrà lanciato un tavolo interministeriale che riunisca Mibac, Ministero dell’economia e del lavoro: «Sino a ora abbiamo incontrato questi ministeri solo singolarmente», racconta Camila Chiozza della rete nazionale Professionisti dello spettacolo Emergenza Continua, «con il risultato che ogni contrattazione era vanificata dall’assenza degli altri necessari punti di riferimento istituzionali».

Lavoratori dello spettacolo al teatro dell’Opera foto LaPresse

Fra le rivendicazioni centrali della mobilitazione c’è poi lo sblocco del quinto decreto ristori rimasto «arenato» nel passaggio fra governo Conte e Draghi – ma lo sguardo è rivolto oltre la contingenza emergenziale, alla riforma strutturale del settore che lo liberi dalla precarietà endemica e dal largo impiego di lavoro nero, che spesso ha reso difficile l’accesso agli ammortizzatori sociali. «Per troppo tempo il mondo culturale è stato un laboratorio di precarietà e sfruttamento» affermano tanti lavoratori che prendono la parola durante la giornata, «serve un reddito di continuità che non scada con la fine dell’emergenza ma che sostenga gli intermittenti anche nei periodi di non lavoro».

Tra le richieste cardine c’è infatti quella di riconoscere i periodi di inattività come inevitabili e fisiologici nelle professioni del mondo dello spettacolo, così come avviene ad esempio in Francia; in questo senso alcuni esperimenti sono già stati avviati. Il gruppo Presidi Culturali Permanenti ha proposto una formazione retribuita e continua proprio per quei periodi in cui i lavoratori e le lavoratrici sono fermi. Lo stabile di Roma ha accolto l’iniziativa e il 22 marzo partirà il programma Fondamenta, composto da sette corsi tenuti da registi, drammaturghi e attori indirizzati unicamente ai professionisti, le cui giornate verranno pagate regolarmente come lavorative.

UN ALTRO TEMA che attraversa la manifestazione è quello delle rivendicazioni di genere. C’è chi focalizza l’attenzione sulle violenze e le relazioni di potere nel mondo delle arti performative, come il collettivo Il Campo Innocente, che invoca un approccio unitario: «Vorremmo superare le lotte di categoria, pensiamo che questo sia il momento dell’intersezione e non di difendere il proprio giardino» dichiara il performer Leonardo Delogu. Il collettivo Mujeres nel Teatro mette l’accento invece sulla scarsa presenza delle donne ai vertici del circuito culturale, come ha sottolineato Sara Palma: «Siamo qui per difendere, tutelare e incrementare la scena femminile. Oltre ad essere artiste siamo imprenditrici, famiglie, spazi che danno lavoro».

Aggiunge poi l’attrice Marzia Ercolani: «È come se la pandemia avesse aperto il vaso di Pandora: il mondo dello spettacolo è una giungla, non abbiamo alcun riconoscimento giuridico come professionisti, e questo vale anche per i grandi nomi». Durante un anno di lockdown della cultura i nodi sono venuti al pettine e, mentre si prepara la riunione di oggi del Cts sui luoghi dello spettacolo – in cui verranno valutati i protocolli di sicurezza elaborati dalle associazioni di settore, in vista dell’auspicata apertura che potrebbe avvenire il 6 aprile – la priorità è ricominciare a lavorare. «La sindaca Raggi – interviene dal palco una lavoratrice – ha detto di voler aprire i teatri per tenere i concorsi pubblici: ma se si tratta di luoghi sicuri per i concorsi di vigili urbani e funzionari amministrativi lo sono anche per lavorare».

NON SFUGGE infatti l’ipocrisia per cui durante la crisi sanitaria il mondo della cultura è stato inghiottito dal silenzio: «Nessuno può far finta di non vedere che da un anno ci sono lavoratori e lavoratrici senza salario e senza ammortizzatori sociali. Perché anche nel periodo più duro dell’emergenza le fabbriche erano in attività e ancora oggi i teatri sono chiusi? La differenza non è tra un luogo più o meno sicuro, ma tra ciò che produce più o meno profitto», dichiara una sindacalista della Cgil. Ma, ancora una volta, la ripartenza deve essere un’opportunità per scartare rispetto al passato: «È giusto chiedere di non tornare alla normalità, perché era già lì il problema». La giornata di mobilitazione si conclude con il ricevimento di una delegazione di lavoratori e lavoratrici da parte del Presidente della Camera Fico, perché se l’arte non è eliminabile dalla vita umana, come oggi ricordano in tanti, è necessario che venga assicurata una dimensione di vita sostenibile a chi la produce