Conciliare l’emergenza della crisi del Covid sull’economia con i tempi lunghi della democrazia. Il Consiglio europeo di ieri, in videoconferenza, è stato quello che in campo sportivo si chiamerebbe un «riscaldamento». Le prime decisioni definitive sul piano Next Generation Eu sono rimandate al Consiglio che si terrà a metà luglio, il primo in presenza fisica, dopo tre mesi di incontri virtuali.

Molti hanno fretta. Il presidente dell’Europarlamento, David Sassoli, ha parlato di «urgenza e coraggio». Per il primo ministro spagnolo, Pedro Sánchez, «più tempo perdiamo, più profonda sarà la recessione». La prima ministra belga, Sophie Wilmès avverte: «Dobbiamo mostrare ai cittadini che l’Europa può dare una risposta alla crisi». La cancelliera Angela Merkel preme perché «i soldi si muovano in fretta», ma ammette che «alcuni trovano che i tempi 2021-24 siano molto lunghi» e si preoccupa per le date del rimborso del prestito comune, che dovrebbero cominciare tra due Mmf (Multiannual financial framework, ossia il Piano finanziario pluriennale, in pratica il bilancio comunitario), e suggerisce di iniziare già nel quadro finanziario pluriennale prossimo, 2021-2027, «è una questione di credibilità».

Si sta parlando di somme enormi, la base di discussione è la proposta della Commissione per il Recovery Fund di 750 miliardi (500 miliardi di trasferimenti, 250 di prestiti, ma c’è contestazione sia sull’ammontare che sul cursore tra sovvenzioni e prestiti), che sarà collegato al bilancio pluriennale 2021-27, che dovrebbe essere intorno a 1.100 miliardi (ma anche qui i “4 paesi frugali” non intendono cedere su uno scarto dall’1% del pil).

Sul tavolo c’è inoltre un primo pacchetto di 540 miliardi, che si affianca alla sospensione del Patto di stabilità (cioè gli stati possono spendere al di là del 3% di deficit) e all’intervento di 1.700 miliardi della Bce. Per rimborsare il prestito, dovranno essere trovate le risorse: la Commissione propone nuove Risorse proprie (la tassa sui giganti del digitale, dei diritti sulle emissioni di Co2, imposte sulle plastiche monouso, una carbon tax alle frontiere esterne). I tempi saranno lunghi per mettere assieme questa nuova costruzione comunitaria. Per i rimborsi, c’è tempo (anche se Merkel ha dei dubbi): dovrebbero cominciare dal 2028.

Nei fatti, se ci sarà un accordo a metà luglio sui principi di base, nel 2020 arriverebbero soltanto 11,5 miliardi, una modifica del bilancio attuale. Il grosso dei finanziamenti comincerà soltanto nel 2021 e avverrà per tranches annuali: i “frugali” insistono sui controlli anno per anno (per evitare sprechi o investimenti a pioggia che non rispettano le priorità della Commissione, basate sul New Green Deal).

Il piano di rilancio dovrà andare di pari passo con l’approvazione del bilancio 2021-27: al Consiglio europeo di marzo non era stato possibile trovare un’intesa. Il pacchetto non sarà pronto prima di gennaio. Per arrivare a un accordo c’è da superare l’ostacolo dei rebate, gli “sconti” per i paesi contributori netti, eredità del «I want my money back» di Margaret Thatcher, che sembra destinata a sopravvivere al Brexit.

Il fondo di rilancio, abbinato ai contenuti del New Green Deal, deve costruire un mix tra finanziamenti a breve e interventi sul medio-lungo periodo, per arrivare a una modifica della struttura dell’economia europea. Dovranno essere approvati 27 piani di rilancio nazionali: la dead line per presentarli a Bruxelles è ad aprile 2021, per poter partire in ottobre del prossimo anno.

Il piano di rilancio dovrebbe venire concentrato nei primi anni del prossimo bilancio pluriennale, dal 2021 al 2024. Ma anche su questo punto non c’è ancora accordo, per alcuni i finanziamenti dovrebbero essere più concentrati, nel 2021-22. Il bilancio pluriennale viene approvato all’unanimità in Consiglio e poi da un voto dell’Europarlamento. Ma questa volta, con il ricorso al prestito di 750 miliardi sui mercati, sono necessarie garanzie supplementari: in particolare, sull’aumento delle Risorse proprie, ci vorrà un voto dei 27 parlamenti degli stati membri, che dovranno ratificare l’aumento dei diritti di prelievo (oggi pari all’1,5% del pil. Portati al 2%), per un periodo temporaneo di 30 anni. Infine, bisogna saper spendere i soldi: l’Italia per esempio (come la Spagna) ha speso finora solo il 35% dei Fondi strutturali del bilancio 2014-2020 e ne ha programmato un altri 38%, mentre i “frugali” e altri spendono una percentuale molto più alta di quello che è loro destinato.