Il modesto taglio al cuneo fiscale(pare del 2%) annunciato dal governo Meloni andrà «per 2/3 ai lavoratori e 1/3 all’ azienda – ha detto ieri il ministro dello sviluppo economico (ribattezza «per l’impresa e il made in Italy») Adolfo Urso – Non si può fare tutto e subito, possiamo fare ciò che è possibile e tracciare la rotta. Con una simile misura Urso pensa di «alzare i salari e questo avverrà gradualmente nel tempo». Sempre che poi, l’inflazione, il caro bollette lascino qualcosa ai salari, in presenza di un circolo vizioso tra alta inflazione e recessione nei primi due trimestri del 2023 come stimato dalla Commissione Ue.

Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha prospettato tagli alla spesa pubblica del 4-5%, per 50-60 miliardi di euro. Così vuole finanziare quello che a lui sembra un taglio del costo del lavoro più appropriato per i redditi sotto i 35 mila euro. Non ha però spiegato dove taglierebbe. Un contributo, potrebbe arrivare dalla tassazione degli extraprofitti delle aziende, magari non solo energetiche. «Il governo Draghi – ha detto Urso – ha ricavato circa un decimo di quello che pensava di ricavare Ci sono margini di interventi e credo che siano doverosi. Ce lo hanno chiesto anche i sindacati ed è un elemento di equità». Ma non ha detto come riuscirà a fare meglio di Draghi davanti al rifiuto delle aziende di pagare. E alle opposizioni che arriveranno dalla sua maggioranza.

Continua la disfida sul superbonus 110%, limato al 90%.Stefano Patuanelli dei Cinque Stelle ha detto che il provvedimento più costoso, e iniquo, della storia della repubblica sarà difeso «colpo su colpo». E ha anche evocato «la natura keynesiana della misura» voluta dal governo «Conte 2» e peggiorata da Draghi. Siamo davanti al caso singolare dove le destre, che difendono la rendita immobiliare , oggi criticano l’iniquità di una misura che ha favorito «i redditi medio alti». Il rischio è anche fare esplodere la bolla finanziaria dei crediti di imposta che le imprese non riescono a monetizzare dopo che a novembre scorso il governo Draghi è stato costretto a cambiare le regole a causa delle frodi. L’intervento sul Superbonus ha trascurato le periferie e l’edilizia popolare, sostiene Maurizio Landini (Cgil). Il nuovo blocco del sistema del superbonus corre inoltre il rischio di generare una crisi di liquidità per decine di migliaia di aziende e di fermare una parte rilevante dei cantieri edilizi che potrebbe sfociare a forme illegali di approvvigionamento di denaro con rischio usura, esteso nelle regioni più piccole, quelle del Sud e nei territori economicamente più deboli, denuncia del Centro studi di Unimpresa.