A conferma che l’austerità ha sempre come capitale globale Francoforte, mentre le banche centrali di tutto il mondo – mercoledì quella del Canada è stata l’ultima – riducevano gli aumenti dei tassi previsti a 50 punti base, ieri la Bce ha deciso di alzare quello nell’area euro di 75.

Il tasso di rifinanziamento principale sale così al 2%, livello non più raggiunto dal 2009, secondo anno della crisi dei subprime. Quello sui depositi sale all’1,5% e quello sui prestiti marginali al 2,25%.

La presidente Christine Lagarde ha poi annunciato che la Bce potrebbe dover alzare i tassi ancora in «diverse riunioni» e che «a dicembre affronterà la discussione e deciderà i principi-chiave» per la riduzione del portafoglio di bond del programma App, dando così il via all’inversione del quantitative easing – il bazooka inventato da Mario Draghi nel 2015 – riducendo il suo bilancio»: già da fine novembre ci sarà una stretta i tassi con cui le banche accedono ai maxi-prestiti Tltro.

LA RECESSIONE IN EUROPA è quindi sempre più vicina, nonostante le dichiarazioni di prammatica della stessa Lagarde che prova a spacciare un po’ di ottimismo senza crederci neanche tanto: «Non siamo nello scenario peggiore» per la crescita. Motivando la sortita basandosi sul fatto che il mercato del lavoro «continua ad andare bene», sebbene avverta che il calo dell’attività economica potrebbe portare in futuro «a una maggiore disoccupazione».

Non sono bastate le sortite perfino del connazionale Macron per far cedere Lagarde rispetto alle paure di recessione.

Come da immutabile Statuto, il primo obiettivo della Bce è combattere l’inflazione mantenendola attorno al 2%. Un diktat che Lagarde prova a rendere pensiero-comune: «La cosa di cui le persone sono preoccupate è l’inflazione».

La Bce, tuttavia, pur riconoscendo che l’inflazione dell’Eurozona al 9,9% si deve in larga parte al caro energia, guarda la corsa ai rincari che contagia un po’ tutti i settori: l’inflazione cosiddetta supercore, al netto di alimentari, energia e fattori stagionali, è ormai al 5,8%. Un livello insostenibile per Francoforte che spostare la leva monetaria da «espansiva» a «neutrale».

L’EX PRESIDENTE DEL FONDO monetario si è comunque rifiutata di indicare il tasso «terminale», quello a cui la Bce intende fermarsi, spiegando che dipenderà dai dati e dalle valutazioni fatte a ciascuna riunione del Consiglio direttivo: «Ad un certo punto dovremo naturalmente identificare il tasso che porti l’inflazione all’obiettivo del 2%», ha tagliato corto.
I mercati però sembrano meno pessimisti, anche grazie alle interpretazioni degli analisti sugli equilibri interni alla Bce. La maggior parte di loro “legge” nel comunicato una vittoria della colombe rispetto ai falchi dell’austerità che si annidano in Germania e Nord Europa.

GLI INVESTITORI DUNQUE scommettono su un rallentamento della stretta monetaria da parte della Bce dopo aver registrato ieri toni meno aggressivi da parte della banca centrale.

Per questo la reazione delle Borse e dei mercati è stata non negativa. I titoli di Stato dell’Eurozona hanno avuto ieri rendimenti in deciso calo: i Btp decennali italiani guidano il rimbalzo dei bond, con i rendimenti in calo di venti punti base, al 4,1% – da quasi 5% di un mese fa, un buon viatico per l’asta di Btp fissata per oggi – e lo spread Btp-Bund che si restringe a 206 punti base.

VA MALE INVECE L’EURO: la moneta unica è perfino brevemente scesa sotto la parità con il dollaro, chiudendo a 1,002 con il biglietto verde (-0,5%).
Usando parole molto più distensive di quel «scelta azzardata» anticipato da Giorgia Meloni, prova a prenderla con filosofia il neo ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Il rialzo dei tassi della Bce era ampiamente previsto. Probabilmente non sarà l’ultimo in questa fase, ma confidiamo nella saggezza della Bce nell’interpretare le cause della recente impennata dell’inflazione e nel tener conto del rallentamento in corso nell’economia europea».