Raqqa sul doppio binario dell’intervento globale
Siria/Iraq Nella città siriana Francia e Mosca cooperano, ma restano distanti sul destino di Assad: «Senza una seria presenza diplomatica e militare, l'Isis continuerà a prosperare sotto terra, nelle comunità sunnite», dice il giornalista iracheno al-Nasrawi
Siria/Iraq Nella città siriana Francia e Mosca cooperano, ma restano distanti sul destino di Assad: «Senza una seria presenza diplomatica e militare, l'Isis continuerà a prosperare sotto terra, nelle comunità sunnite», dice il giornalista iracheno al-Nasrawi
Sei civili siriani uccisi dalle bombe internazionali che puntavano su camioni di greggio a nord di Raqqa. È il primo bilancio a 5 giorni dall’inizio dell’operazione francese. Le ultime ore hanno visto l’intensificazione dei raid russi e Usa contro le campagne di Raqqa e Deir Ezzor: nel mirino ancora una volta veicoli che trasportavano greggio dall’Iraq. Il petrolio va da Mosul a Raqqa, i leader dell’Isis fanno il viaggio contrario: in poche ore la città irachena è diventata la nuova “capitale” del califfato, raggiunta da centinaia di capi militari islamisti in fuga dalla rappresaglia francese.
Un’evacuazione che si accompagna alla ritirata dalla zona sud di Hasakah, area kurda a nord di Raqqa: a spingere indietro gli islamisti è stata un’operazione congiunta di esercito siriano e aviazione russa. Mosca ha raddoppiato i raid, con lancio di missili dal mar Mediterraneo, mentre la stampa francese riportava di voci interne al Ministero della Difesa secondo cui si starebbe ipotizzando l’invio di forze speciali di terra.
Ufficialmente Parigi e Mosca non hanno ancora definito i dettagli dell’attuale cooperazione militare (il russo Putin e il francese Hollande si incontreranno il 26 novembre), ma l’azione congiunta potrebbe tranquillizzare il presidente siriano Assad che considera la Francia responsabile di violare la sovranità di Damasco, bombardandone il territorio senza autorizzazione. Violazione su cui si può soprassedere se il coordinamento avverrà con Mosca. Diplomazia e azioni militari si muovono su binari opposti: Hollande, strenuo avversario di Assad, discute di operazioni militari con il suo sostenitore Putin. Una strategia simile la persegue, oltreoceano, il presidente Usa Obama che siede al tavolo del negoziato con Mosca e poi reitera, di nuovo ieri, l’intransigenza di Washington: «Non vedo come la guerra civile possa finire se Assad resta al potere», ha detto da Manila.
Il ministro degli Esteri russo Lavrov ha subito risposto: senza Assad non ci può essere la pace. La questione resta centrale: «Sul piano militare, è risaputo che i bombardamenti aerei non sconfiggeranno Daesh – spiega al manifesto il giornalista iracheno Salah al-Nasrawi, analista di Al-Ahram – Nessuna guerra è mai stata vinta solo con i raid, specialmente le guerre asimettriche, tra eserciti e milizie. La coalizione può distruggere basi militari, può uccidere islamisti, ma non vincerà fino a quando non metterà i piedi sul terreno, che sia quello militare o quello diplomatico».
«La ragione è semplice: senza una presenza seria, militare o diplomatica, non si manderà il giusto messaggio alla comunità sunnita, quella che in parte sostiene Daesh con uomini e denaro. Le uniche sul campo di battaglia sono le forze sciite, Hezbollah e Iran. Se resteranno sole, se l’accordo di Vienna non si realizzerà, le forze sciite alieneranno ulteriormente la popolazione sunnita, in Siria come in Iraq, a Ramadi, Anbar e Mosul. Senza la consapevolezza che la componente sunnita sarà integrata nel futuro processo politico non si toglierà potere a Daesh. Si deve arrivare ad una vittoria politica per i sunniti iracheni e siriani o lo Stato Islamico inizierà a muoversi sotto terra, nelle comunità locali, portando ad un futuro di ulteriore instabilità».
Raqqa come Mosul, città specchio dello stesso sistema di potere e roccaforti islamiste tanto salde da garantire all’Isis il tempo di riorganizzarsi. Lo dicono i residenti di Raqqa che riportano della costruzione di tunnel e trincee da parte islamista, azioni confermate dai peshmerga a Sinjar: i kurdi si sono trovati di fronte una complessa rete di tunnel e bunker sotterranei provvisti di un sistema di aereazione, un’alta opera ingegneristica come l’ha definita il maggiore Murad.
«Seppure gli islamisti dovessero perdere Raqqa – conclude al-Nasrawi – non perderanno la guerra. C’è Mosul, che resterà dov’è perché Baghdad non è pronto ad una controffensiva, senza prima passare per Ramadi e Anbar, e perché i peshmerga non vi prenderanno parte. È una città sunnita, non la potrebbero gestire».
Non sono in pochi a immaginare un rallentamento delle operazioni nell’ovest dell’Iraq. Mosul non è ancora nei piani, almeno quelli terrestri: ieri l’aviazione irachena ha lanciato sulla città volantini in cui chiede ai civili di allontanarsi dalle postazioni Isis per evitare di essere colpiti da eventuali raid aerei. Nelle stesse ore la coalizione colpiva camion di greggio a ovest di Mosul.
Non manca però chi si sta preparando a più intensi raid contro la città irachena: sono le Nazioni Unite che nei giorni scorsi hanno diramato un comunicato nel quale si dicono preoccupate per una possibile nuova ondata di sfollati sunniti in fuga da Mosul, nel caso le forze aeree occidentali decidano di spostare il mirino da Raqqa all’Iraq.
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