Raqqa, decine di morti sotto le bombe Usa
Siria I raid sono in appoggio all'avanzata curda contro l'Isis ma il prezzo più alto lo pagano i civili intrappolati nella città. L'opposizione siriana invece riferisce di decine di morti causati da aerei russi. Erdogan minaccia una guerra per fermare i referendum per l'indipendenza curda
Siria I raid sono in appoggio all'avanzata curda contro l'Isis ma il prezzo più alto lo pagano i civili intrappolati nella città. L'opposizione siriana invece riferisce di decine di morti causati da aerei russi. Erdogan minaccia una guerra per fermare i referendum per l'indipendenza curda
Almeno 78 civili sono morti nelle ultime ore sotto le bombe sganciate dai caccia della Coalizione a guida Usa in appoggio all’avanzata delle forze curde dentro Raqqa, la “capitale” dell’Isis in Siria. Dal 14 agosto, riferiscono i centri per i diritti umani, i morti sono 167, di cui 59 minori. I comandi militari americani hanno approvato 250 raid aerei solo nell’ultima settimana. Stragi in nome della lotta al terrorismo che si concentrano nei quartieri centrali della città, pieni di civili che non riescono a fuggire per le minacce dei jihadisti e per l’assedio in cui è stretta Raqqa. Almeno 25 mila civili, avverte l’Onu, si troverebbero ancora nella città, in condizioni terribili, con poca acqua, cibo e medicinali. La stessa sorte degli abitanti di Mosul, costretti prima a subire l’occupazione della loro città da parte dell’Isis e poi a pagare in vite umane il costo della liberazione. Il bilancio delle vittime di Raqqa è destinato ad aggravarsi perché molti dei feriti versano in gravi condizioni. Un’altra strage di civili, denunciano questa volta gli oppositori anti-Assad, sarebbe avvenuta ieri a Rueidah, del distretto di Ukeirat, dove i cacciabombadieri russi avrebbero ucciso 50 civili in bombardamenti diretti contro le postazioni dell’Isis in quella zona.
Nella Siria che parla di ricostruzione la guerra divampa violenta ancora nel Nord e nell’Est, e gli attori regionali che hanno contribuito ad incendiare il Paese, specialmente coloro che hanno armato e finanziato i jihadisti, non mancano di alzare la voce quando vedono minacciati i loro interessi. Ieri il leader turco Erdogan, parlando ad Ankara, ha avvertito che ostacolerà qualsiasi tentativo dei curdi di creare un loro Stato nella Siria settentrionale. «Non permetteremo mai che un cosiddetto Stato sia stabilito (dalle formazioni curde) Pyd e lo Ypg nel nord della Siria», ha detto riferendosi alle aree nella regione nordorientale della Siria e in quella dell’Afrin. Ankara, si teme, potrebbe lanciare un’offensiva contro i combattenti curdi per cacciarli da Afrin dove secondo Erdogan la loro presenza rappresenterebbe una minaccia per la Turchia. Il leader tuco ha anche ipotizzato un’operazione congiunta con l’Iran contro i curdi. Oggi il ministro degli esteri turco Cavusoglu andrà a Baghdad per discutere del referendum per l’indipendenza che si svolgerà il mese prossimo nel Kurdistan iracheno e che la Turchia vuole impedire. Per Cavusoglu i piani per l’indipendenza curda porteranno a un conflitto devastante.
Non lavorano per la fine della guerra i rappresentanti dell’opposizione siriana che nell’ultimo incontro, lunedì, nella capitale saudita Riyadh, hanno continuato a ripetere vecchi slogan e a ribadire posizioni sterili che non hanno alcuna aderenza con la realtà sul terreno. I delegati della cosiddetta piattaforma di Mosca, più pragmatici, non sono riusciti a convincere quelli della piattaforma del Cairo e quelli dell’Alto Comitato per i Negoziati (Hnc) finanziato e sostenuto dall’Arabia Saudita, della illogicità della richiesta di una uscita di scena immediata di Bashar Assad e della non partecipazione del presidente siriano a qualsiasi processo di transizione politica in Siria. Dopo anni trascorsi negli hotel europei, arabi e turchi a discutere con i loro sponsor del «futuro della Siria», i rappresentanti dell’opposizione sembrano non aver compreso che il campo di battaglia ha già deciso per loro. L’esercito siriano ha recuperato il controllo di gran parte del Paese liberandolo dalle formazioni jihadiste e qaediste. E la milizia dell’opposizione “moderata”, l’Esercito siriano libero, è svanita nel nulla dopo aver fagocitato i 500 milioni di dollari che gli Usa di Barack Obama avevano investito nel suo addestramento e armamento.
Ai negoziati con i delegati dell’esecutivo siriano, previsti a Ginevra il prossimo ottobre, le tre opposizioni siriane forse andranno con una delegazione unica, come auspica il rappresentante dell’Onu Staffan De Mistura, ma servirà a ben poco. Continuare a chiedere, come farà ancora l’Hnc, la destituzione immediata di Assad è oggi più irrazionale di quanto non lo fosse due-tre anni fa quando il presidente siriano si trovava in una situazione precaria. Insistendo su quel punto l’Hnc probabilmente vuole affermare di contare ancora. Intanto a settembre si terrà ad Astana il prossimo round dei colloqui siriani mediati da Russia, Iran e Turchia.
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