Cultura

Rappresentazioni ad alta intensità emotiva

Rappresentazioni ad alta intensità emotivaNew York, decorazioni per il "Fete Paradiso" – Reuters

Maurice Halbwacs Finora inedito in Italia, il testo qui presentato contesta la centralità dell’economia nella formazione delle classi, privilegiando invece le «credenze» e i «costumi». Studioso noto per le sue opere sulla memoria storica affronta un tema che continua a dividere. Nel capitalismo, la richiesta monetaria è insufficiente a spiegare il conflitto politico di classe

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 10 gennaio 2014

Uno dei tratti più interessanti dei lavori degli economisti tedeschi in questi ultimi anni, è l’importanza che attribuiscono al problema scientifico delle classi. Cos’è una classe sociale? Come, in virtù di quale criterio, distinguere delle classi in un gruppo sociale così esteso come una nazione? Quale specie di realtà deve essere posta a fondamento di questa nozione un po’ vaga? Su questi punti, Schmoller, Bücher e Sombart hanno teorie differenti; l’utilità di una critica di tali teorie consiste, soprattutto, nel farci conoscere meglio cosa si debba intendere per sociologia economica.

Oggetti da scoprire

Sulla posizione stessa di questi problemi, si può dire che gli economisti citati ci gratificano sempre. Senza dubbio essi sanno, e ce lo lasciano intendere, che l’oggetto di studio è, nello specifico, una rappresentazione collettiva. Schmoller la definisce precisamente un «circolo di coscienza». Quindi, dovrebbero distinguere tre aspetti del problema: 1) Qual è il contenuto di questa rappresentazione, quali elementi vi si riuniscono e seguendo quale piano di organizzazione? 2) Da dove viene l’intensità più o meno grande che essa possiede, e seguendo quale legge questa intensità varia? 3) Come si spiega il suo oggetto esteriore, la sua realtà, la sua evoluzione e la sua persistenza? Di queste domande la prima, sicuramente, appartiene alla psicologia. Senza dubbio il metodo di Bücher, sempre alla ricerca di serie da isolare per l’analisi scientifica, lo spinge a tentare due ordini di ricerche: da un lato, come certe forme della produzione, facendo entrare in relazione i lavoratori, facciano loro prendere coscienza del gruppo sociale che essi formano progressivamente (secondo aspetto) e dall’altro, come la ricchezza, la sua ineguale distribuzione, sia la causa dell’esistenza delle classi sociali (terzo aspetto). Questa spiegazione delle classi, però, può sembrare parziale, in più dimentica la dimensione psicologica del problema, oppure, se la intravede, non la distingue affatto dal problema della genesi effettiva delle classi. Schmoller e Sombart si sono preoccupati più di fare sintesi che distinzioni: la storia e la psicologia si mischiano a considerazioni biologiche (Schmoller) o dialettiche (Sombart). I punti di vista appena citati non sono affatto separati. (…)

È la seconda domanda – «Da dove viene l’intensità più o meno grande che la rappresentazione delle classi possiede in un gruppo e seguendo quale legge questa intensità varia?» – a fornire, sebbene gli economisti tedeschi non se ne siano occupati troppo seriamente, rispetto al problema delle classi, il punto di vista più sociologico in cui collocarsi. Delle tre domande, a dire vero, è la sola che rilevi interesse per la sociologia (…)

Definiamo l’organizzazione come un carattere oggettivo in cui si rivela l’esistenza di una coscienza collettiva. Le corporazioni del Medioevo, le Trades Unions in Inghilterra, corrispondono bene a delle classi definite, tuttavia, queste forme non sono comparse che molto tardi in queste stesse classi, e in più, non tutte le classi si organizzano. Si vede, d’altronde, come l’organizzazione di un gruppo indichi un avvicinamento più stretto di tutte le sue parti, di conseguenza, una coscienza collettiva più forte. L’organizzazione, dunque, sarebbe il segno e il risultato di una rappresentazione sociale intensa.

Quand’è che vediamo apparire queste organizzazioni? Quando la rappresentazione di classe diviene intensa? Si potrebbe pensare che ciò accada quando i membri di una classe si sentono il più lontano possibile dagli altri uomini a causa della loro vita e della loro potenza monetaria, quando lo scarto tra le classi è il più grande possibile. Nei due esempi appena citati, non è così. Gli artigiani del Medioevo non danno ai loro mestieri la forma corporativa se non quando si sentono minacciati dalla concorrenza di numerosi lavoratori a giornata e da quella degli stranieri; sarebbe a dire, quando tra di essi e i contadini si sviluppa una nuova classe, i cui membri sono troppo simili e pressoché uguali. Gli operai qualificati non costituiscono delle Trades Unions se non quando le loro attitudini speciali e i loro alti salari li rendono così forti da poter trattare con i loro padroni su di un piano di eguaglianza. I due casi non sono simili e tanto meno lo sono le due forme di organizzazione: qui una classe inferiore lotta contro una superiore, e lì le cose vanno al contrario: ma sempre il fatto dell’organizzazione corrisponde a una differenza minore tra le classi.

Un problema di forza

Affinché una classe superiore si organizzi contro una inferiore, bisogna che ne senta il bisogno, e perché una classe inferiore si organizzi contro una superiore, bisogna che essa ne abbia la forza. Ora, si capisce bene che una classe minacciata o incoraggiata sperimenti l’utilità di riunire le sue forze e di determinare l’estensione dei suoi diritti, ma si vorrebbe sapere cosa significhi allora l’intensità accresciuta della rappresentazione di classe. Ciò che accade in questo momento al primo livello della coscienza collettiva, non è la nozione delle differenze indebolite tra questa classe e le altre, ma, piuttosto, quella dei rapporti tra i suoi membri e, soprattutto, della loro identità di interessi, e del loro fine comune. Questa rappresentazione è molto chiara, corrisponde a delle relazioni create dagli uomini stessi tra di loro: i membri della classe vi ritroveranno ciò che ci hanno messo. Si potrebbe chiedere se, diventando più sistematica e più netta, essa non si sia impoverita, svuotata di una gran parte del suo contenuto concreto.

Lo scarto considerevole tra due classi, se si fa scomparire l’utilità di una organizzazione interna, conserva senza dubbio tutta la sua ricchezza e la sua originalità rispetto al senso della differenza delle situazioni. L’esempio più tipico, da questo punto di vista, è quello della schiavitù ovunque lo si incontri. Distinguiamo lo schiavo domestico, che vive nella famiglia come uno dei suoi membri e la cui situazione di dipendenza è molto vicina alla condizione vile delle donne e all’assoggettamento dei bambini; e il gruppo asservito impiegato nelle piantagioni e nelle miniere, trattato più duramente. Facciamo riferimento a questi ultimi che, soli, sviluppano una coscienza sociale vera.

Quali dati devono entrare in questa rappresentazione di classe? I rapporti economici passano in secondo piano, poiché lo schiavo non vende il suo lavoro o la sua forza lavoro attraverso un libero contratto, almeno in teoria: giuridicamente è proprietà del padrone che ha su di lui tutti i diritti. (…) Al contrario, ciò che soprattutto deve essere evidente al gruppo, è il fatto della sua inferiorità sociale, tanto nel caso in cui le sia stata trasmessa da ascendenti già schiavi, quanto in quello che le deriva dal fare parte di popolo asservito dagli attuali padroni: questa rappresentazione si confonde spesso con quella dell’ineguaglianza delle razze, e le si ricollega sempre. Ora, questa ineguaglianza ha come caratteristiche, in opposizione a quella che si fonda sulla situazione economica, di essere allo stesso tempo molto stabile e difficile da spiegare, ma da ciò si può dire che essa comprenda una quantità di elementi: le differenze durature di condizioni portano, in effetti, ogni sorta di abitudini o di maniere d’essere differenti che hanno il tempo di fissarsi; e questa ignoranza delle cause fa che si attribuisca alla superiorità o all’inferiorità del gruppo una esistenza in qualche modo sostanziale. La rappresentazione di classe in un gruppo di questo tipo trae, dunque, la sua ricchezza da ciò che non si lascia comprendere nei termini di rapporti astratti e intellegibili, ma risiede su di un fondo di credenze e di costumi.

Oltre le costrizioni

Il termine intensità, applicato alla rappresentazione di classe si presta ad equivoci poiché lo si può intendere sia come la forza del sentimento dello scarto tra le classi, sia come l’alto grado di chiarezza della loro coscienza organica.(…)

In ogni caso, sotto i suoi due aspetti, la coscienza di classe resta, dunque, un fatto sociale e si risolve in un insieme di costrizioni esercitate sui suoi membri. Fin quando non c’è organizzazione, ma grande scarto tra le classi, l’origine di questa costrizione è fuori del gruppo, nel gruppo vicino, superiore o inferiore; quando questo grande scarto non c’è, ma c’è organizzazione, la costrizione è nel gruppo stesso, la classe, organizzandosi, impone sempre più la sua autorità ai suoi membri. Si vede, dunque, che il termine intensità si rivolge nei due casi al suo significato sociale: è sempre l’intensità della rappresentazione di una costrizione: ma ci sono due specie di costrizioni, ed è per questa ragione che la coscienza di classe può dirsi intensa in due sensi differenti.

 

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