Serve «maggiore trasparenza sulla rappresentatività effettiva dei sindacati» considerato che il numero dei dipendenti iscritti al sindacato in imprese che fanno capo a Confindustria sul totale degli occupati «si aggirerebbe intorno al 25%, più basso di quanto comunemente si ritiene»: la stoccata a Cgil, Cisl e Uil arriva a metà della relazione sullo stato dell’Inps, autore Tito Boeri.

Secondo il presidente dell’istituto di previdenza, sarebbero gli stessi sindacati a fornire cifre gonfiate all’Ocse, che poi misura il grado di sindacalizzazione nei diversi paesi: «I dati sulle iscrizioni ai sindacati, già oggi in possesso dell’Inps, limitatamente alle imprese più grandi e maggiormente sindacalizzate, che fanno capo a Confindustria – ha spiegato Boeri – ci dicono che i tassi di sindacalizzazione in Italia potrebbero essere più bassi di quanto comunemente si ritiene: in queste imprese siamo attorno al 25%, molto meno del 40% riportato dall’Ocse, sulla base di segnalazioni degli stessi sindacati». L’Inps, ha concluso, è comunque «disponibile a raccogliere anche i dati sulle elezioni delle Rsu, utili a completare le misure di rappresentanza definite nell’accordo del 2013».

Un colpo che non è piaciuto ai sindacati, specie a Cgil e Uil, che hanno replicato su questo, ma anche sul tema del salario minimo (Boeri ne auspica l’istituzione) e sui presunti benefici della cancellazione dell’articolo 18. «I salari minimi ci sono, sono i minimi contrattuali», ha detto Carmelo Barbagallo (Uil), e sulla rappresentanza: «Quando avremo tutti i dati delle imprese, vedremo».

«Le considerazioni su articolo 18, contrattazione e rappresentanza e quelle sugli esiti del Jobs Act, oltre a essere formulate sulla manomissione strumentale di alcuni dati, non dovrebbero attenere al Presidente dell’Inps», dice Roberto Ghiselli della Cgil. E poi lo incalza: «Boeri descrive una situazione dell’Inps che vede solo lui. È urgente una riforma della governance». Riforma chiesta ieri anche da parte della Cisl e dal mondo delle imprese.