Rapporto Coop, i carrelli dell’Italia che non ce la fa
Economia Consumare meno, lavorare di più: la crisi vista dalla vetta della grande distribuzione
Economia Consumare meno, lavorare di più: la crisi vista dalla vetta della grande distribuzione
Butta male. Mai visti così preoccupati i vertici della prima azienda della grande distribuzione italiana. «Scenari duri», come ripete Marco Pedroni, presidente Ancc-Coop, potrebbe essere il titolo del rapporto presentato ieri a Milano – Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani. La radiografia del malessere profondo – si chiama povertà – dice che il malato è grave e latitano medici all’altezza di rianimare una popolazione che a leggere i sondaggi sembra inconsapevolmente disperata (continua a essere ottimista – mistero… – e però uno su cinque usa psicofarmaci). Vediamo come cambiano costumi e stili di via quando si è costretti a stringere la cinghia.
Da quando i prezzi hanno cominciato ad aumentare, gli italiani hanno provato a spendere meno, facendo la spesa nei discount – dici “discount” e ai manager di Coop Italia si rizzano i capelli in testa. Hanno anche rinunciato a comprare la casa e il telefonino (dato inedito che più di altri dà l’idea della crisi). Di fronte a un aumento dei prezzi diventato stabile, molti si trovano in uno stato di «disagio duraturo». E pesante: «L’eccezionale crescita dell’inflazione ha abbattuto il potere d’acquisto in una misura pari a 6.700 euro pro capite» e il 36% degli interpellati ha dichiarato che nei prossimi mesi ridurrà i consumi. I motivi sono noti.
Il lavoro «non paga quanto dovrebbe» – il 70% degli occupati dice che avrebbe bisogno di un’altra mensilità – e per questo la tendenza è ad «aggiungere lavoro al lavoro come strategia di difesa dal carovita»: il 27% degli occupati intende aumentare il numero di ore lavorate, il 25% fare lavoretti aggiuntivi e il 19% mandare i figli al lavoro. Remunerato con paghe da fame. E qui Pedroni si rivolge al governo per chiedere il salario minimo – «un fatto morale» – e un giusto taglio delle tasse per sostenere la domanda dei cittadini-consumatori.
Quasi la metà di costoro – 27 milioni di persone, in crescita clamorosa del 50% rispetto al 2021 – hanno ammesso di aver fatto rinunce in almeno in un ambito: cibo, salute, casa, mobilità, tecnologia e socialità. Il 10% dichiara di non arrivare a fine mese e un ulteriore 23% ci arriva ma teme di non farcela. Solo un italiano su quattro dichiara di fare senza problemi la vita di qualche anno fa. Tra le famiglie della classe media, meno della metà riuscirebbe a fare fronte senza difficoltà a una spesa imprevista di 800 euro e solo un terzo a una di 2000.
A pagare più di altri questa situazione sono i giovani, la fascia di età tra i 18 e i 34 anni. Vive in una sorta di «apartheid» retributivo: guadagnano quasi la metà di un over 50 e per questo il 40% di loro vuole o immagina di andarsene.
Ma veniamo a quei pochi fortunati (o responsabili) che hanno in tasca un portafoglio scacciapensieri. Nonostante questa situazione, in quelle che il rapporto definisce «fasce minime di popolazione», si fanno strada nuove tendenze a tavola: il plant-based, alimentazione prevalentemente vegetariana, fa registrare un aumento del 9%; così come lo sugar free, la predilezione per le proteine e per l’healty. Ci sono poi quelli che con la propria dieta vogliono migliorare le sorti del pianeta: 5,1 milioni di italiani dichiarano di alimentarsi a spreco zero, 2,8 si definiscono reducetariani e 1,4 sono climatariani (chi usa prodotti a basso impatto di C02).
Nel frattempo, i carrelli della stragrande maggioranza diventano sempre più leggeri. Ecco perché Maura Latini, presidente di Coop Italia, è poco incline all’ottimismo: «La quantità di volumi perduti in questi otto mesi è già imponente e se oltre un terzo degli italiani che dichiarano di consumare meno diventerà realtà allora…». Già, siamo tutti preoccupati.
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