Un liceale gira in lungo e largo la Sicilia per settimane, ne visita coste e montagne, la attraversa con interminabili camminate; eppure l’isola continua a mancargli come se non ci fosse ancora arrivato. La sente addirittura come l’oggetto di una «furibonda nostalgia». Finché non si mette a leggere Tomasi di Lampedusa, Vittorini, Pirandello, e grazie ai loro racconti comincia a percepire realmente i paesaggi e le persone che aveva visto e vissuto nei giorni precedenti: è così che finalmente raggiunge veramente l’isola su cui si trova già da tempo. Il mondo diventa «reale» soltanto attraverso la mediazione dei racconti e dell’immaginario.

QUEL GIOVANE viaggiatore che riesce veramente a viaggiare solo grazie alla lettura è Christoph Ransmayr, oggi uno dei maggiori scrittori di lingua tedesca. Il testo in cui ricorda la sua avventura sicula di qualche decennio fa è uno dei suoi tanti scritti d’occasione che da ormai più di due decenni raccoglie in brevi libri, concepiti come sperimentazioni sulle forme narrative. L’orma editore ne ha raccolti cinque in un volume dal titolo L’inchino del gigante (pp. 256, euro 22), splendidamente tradotto da Marco Federici Solari.
È un libro pieno di vitalità, di luoghi e di tempi, un libro in perenne movimento, che porta il lettore continuamente altrove, conducendolo attraverso una moltitudine di testi legati tra loro dai temi comuni del viaggio e della metamorfosi, e da una riflessione narrativa sulla funzione della letteratura e sulla necessità politica dell’immaginazione. Ransmayr insegue l’«incredibile varietà, enigmaticità, minacciosità e bellezza della realtà» con una scrittura che fa della metamorfosi la sua legge fondamentale, celebrandola con un linguaggio evocativo e meravigliato, pieno di un’ironia lieve e appassionata.

Il compito dello scrittore, diceva Elias Canetti, è quello di farsi «custode della metamorfosi», di ricordare agli esseri umani che la loro capacità più peculiare è quella di mutare, di identificarci nell’altro, di perdersi e ritrovarsi in altri modi di percepire e affrontare la realtà. La metamorfosi è l’opportunità preziosa e insopprimibile di superare i dolori e gli incubi dell’esistenza, di sopravvivere in condizioni che ci appaiono insostenibili e scoprire mondi nuovi esercitando la possibilità di raccontare a noi stessi il nostro universo «daccapo, sempre e di nuovo», come dice uno dei personaggi di questo libro, un ex custode di museo che improvvisamente si ritrova tramutato in un calamaro di Lesson. Il viaggio e la scrittura sono per Ransmayr due modi per esercitare questa facoltà umana di rigenerazione. Si tratta del resto di due pratiche che sono da sempre in stretta correlazione. Il viaggio, infatti, non è solo un tema centrale della letteratura di tutti i tempi, ma è anche un modello quasi archetipico della narrazione stessa.

«OGNI RACCONTO è un racconto di viaggio», scriveva Michel de Certeau nell’Invention du quotidien. Lo spazio del mondo non è niente di stabile, perché dipende in buona parte dalle storie che sappiamo inventare, è animato e continuamente riconfigurato dai movimenti del corpo e dell’immaginazione che lo percorrono. I racconti sono mezzi di trasporto sui quali ci muoviamo attraverso la realtà.

VIAGGIATORE INSTANCABILE e «seminomade», come si è definito una volta, Ransmayr concepisce la scrittura come viaggio e il viaggio come riscrittura di sé, come movimento attraverso gli spazi segreti del nostro animo, cammino verso una terra sconosciuta nella quale possiamo ritrovarci trasformati, acquisendo familiarità con una parte dell’ignoto che è dentro di noi. Ogni vero viaggio ci porta lontano dalla nostra esistenza consueta e ci avvicina alla parte più intima e segreta di noi stessi. Perciò è anche un mezzo per uscire da sé, per lasciarsi alle spalle il proprio punto di vista e abbandonarsi a un inestimabile esercizio di empatia. È questo che lo accomuna alla letteratura. Entrambi, viaggio e letteratura, stimolano la capacità di immedesimarsi nella vita degli altri, di vivere le loro sofferenze e speranze, i loro sogni e desideri, contribuendo così a gettare un ponte di comprensione tra il familiare e l’estraneo, tra ciò che ci è prossimo e quel che ci sembra lontanissimo, ma anche – scrive Ransmayr – tra le ricchezze di cui gode una parte della popolazione mondiale e «la miseria che l’ha resa possibile».

IN ALCUNE SUE PAGINE vibranti, questo libro scava nel cuore di tenebra della coscienza occidentale e denuncia i crimini del capitalismo finanziario, la tracotanza ideologica dell’Occidente, le devastazioni del colonialismo europeo, le politiche adottate verso i flussi di profughi prodotti da guerre e indigenze che hanno in Europa la loro origine.
Ransmayr sottolinea però – e opportunamente – che contro tutto questo l’arte non può limitarsi alla semplice denuncia: una risposta insufficiente e a volte anche ipocrita. Per lui, la letteratura può esercitare un effetto politico più profondo e persistente contrastando quella mancanza di immaginazione e di empatia, e quell’incapacità di pensare la vita dei singoli nella sua realtà concreta, che sono alla base di ogni dogmatismo ideologico o religioso. Rappresentando in forme esatte e laconiche le gioie e le sofferenze che gli esseri umani hanno causato ai propri simili, le violenze e le generosità di cui sono stati capaci, sostiene Ransmayr, lo scrittore «può contribuire a lenire tale carenza» e così aiutare il suo pubblico a immunizzarsi contro le «prediche barbariche» della politica.

MA OGGI QUESTA POSSIBILITÀ appare minacciata da uno sviluppo tecnologico che affianca e spesso automatizza la rozzezza ideologica, sottraendo sempre più spazio alla pratica della lettura, come a ogni altra pratica metamorfica che si nutre dell’immaginario individuale e lo alimenta. Leggendo ci appropriamo del testo ricreandolo, traducendolo con parole nostre: è un processo di metamorfosi, dice Ransmayr, attraverso il quale «le opere d’arte che hanno nel linguaggio il loro elemento costitutivo» sprofondano dentro di noi per divenire parte di «quella sostanza imponderabile al di là di ogni logica e grammatica» di cui sono fatti i nostri sogni e le nostre anime.
Da qualche tempo questa possibilità di alimentare un immaginario individuale attraverso la lettura sembra avviata verso una progressiva riduzione. La facoltà della nostra mente di far scaturire immagini dai caratteri alfabetici allineati su una pagina e di pensare per loro tramite è sempre più erosa dal mare di visioni e icone prefabbricate in cui siamo immersi.

Proprio per questo la letteratura diventa un esercizio di resistenza sempre più prezioso: per la sua capacità di strapparci al mondo in cui viviamo, di portarci verso livelli di percezione diversi, dove trarre immagini per modificare il nostro senso della realtà, immagini non conformi al nostro tempo, anacronistiche, e perciò piene di futuro.