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Raid israeliani sulla Siria, poi Netanyahu apre ad Assad

Raid israeliani sulla Siria, poi Netanyahu apre ad AssadL’esercito governativo entra nella città meridionale di Deraa sventolando la bandiera della Siria – Ap

Medio Oriente Il premier «contratta» con Putin: il presidente può restare, l’Iran no. Ma Mosca ha altre idee. I jet israeliani hanno colpito basi militari a Quneitra. A poca distanza, l’esercito siriano riprendeva Deraa

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 13 luglio 2018

La bandiera siriana sventolava ieri sull’edificio delle poste a Deraa, da molti considerata il primo focolare delle proteste che nel 2011 investirono Damasco per trasformarsi presto in una guerra regionale. La notte precedente, a poca distanza, missili israeliani piovevano su Quneitra, sud della Siria. Poche ore prima il premier israeliano Netanyahu, di ritorno dal Cremlino, si diceva non più interessato a provocare la caduta del governo di Damasco.

Tre eventi, uno in fila all’altro, raccontano molto dell’attuale stato del conflitto mediorientale. «Assad non è un problema»: la dichiarazione del primo ministro israeliano dopo l’incontro con il presidente Putin ribalterebbe la strategia di Tel Aviv nella regione. Una strategia fatta di attacchi aerei sempre più frequenti, sostegno ben poco velato alle opposizioni islamiste nel sud della Siria e una dura offensiva diplomatica in cui rientra la normalizzazione dei rapporti con i regimi arabi del Golfo e, non da ultimo, l’«accordo del secolo» dell’amministrazione Trump (pace con i palestinesi senza palestinesi e alleanza anti-iraniana da Riyadh a Tel Aviv).

Ma il cambio di rotta resta per ora a parole, in concomitanza con i raid su tre postazioni dell’esercito di Damasco a Quneitra, a poche centinaia di metri dal «confine» con il Golan occupato da Israele nel 1967. Per Tel Aviv la naturale risposta all’ingresso nel proprio spazio aereo, poche ore prima, di un drone siriano abbattuto sul Lago di Tiberiade come mostrato con un video dall’account Twitter dell’esercito.

Damasco conferma attraverso l’agenzia di Stato Sana: nessuna vittima, ma danni materiali. Alcuni missili, aggiunge Sana, sono stati intercettati dalla contraerea siriana.

Le incursioni israeliane nel paese vicino nell’ultimo anno si sono intensificate, a fronte dell’avanzata dell’esercito governativo contro i gruppi di opposizione. Con la città di Deraa, a sud, tornata in mano a Damasco (dopo l’Esercito libero, ieri si sono ritirati i miliziani dell’ex al-Nusra, direzione Quneitra, dopo l’accordo con Mosca che ha inviato la propria polizia in città), Tel Aviv non intende accettare la conseguente vittoria iraniana.

Da cui il tentativo (accanto ai raid su basi dove sono presenti forze di Teheran) di mediare con la Russia, che in questi anni di guerra ha sempre mantenuto aperti i contatti con Israele: «Non abbiamo avuto problemi con il regime di Assad, per 40 anni neanche un solo proiettile è stato sparato sulle Alture del Golan – ha detto Netanyahu in partenza da Mosca – Ciò che ci ha turbato sono l’Isis e Hezbollah. Il nocciolo della questione è preservare la nostra libertà di azione contro chiunque agisca contro di noi. In secondo luogo rimuovere la presenza iraniana dal territorio siriano» non tollerata «né vicino alla nostra frontiera né in nessun’altra parte della Siria».

Nella pratica, come spiegano al quotidiano israeliano Haaretz fonti governative, Tel Aviv accetterebbe la permanenza di Assad al potere in cambio di un reale allontanamento delle forze iraniane. Mosca dà altre garanzie: Teheran resta, ma lontano dai confini. Poco per Israele che punta alla netta riduzione dell’influenza iraniana sulla regione, interesse condiviso con il Golfo e Trump. Dal primo attacco Usa contro una base militare siriana (aprile 2017) le incursioni israeliane si sono intensificate toccando l’apice in questi mesi, al ritmo di un attacco ogni poche settimane.

Una svolta non solo nel numero ma anche nei target: se prima l’aviazione israeliana prendeva di mira convogli o postazioni del movimento sciita libanese Hezbollah, dalla primavera scorsa colpisce basi in cui è certa la presenza di soldati iraniani. Fino al mese scorso quando i jet di Tel Aviv sono arrivati sui cieli della provincia di Deir Ezzor, estremo oriente siriano, al confine con l’Iraq, e hanno ucciso miliziani sciiti iracheni.

Un allargamento del raggio d’azione che non è casuale: l’obiettivo è il corridoio che Teheran ha costruito in questi anni, transito materiale di uomini e armi ma anche politico, cemento al progetto di un’asse sciita che la Repubblica Islamica intende far correre fino a Beirut, via Baghdad e Damasco.

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