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Ragioni e lati oscuri del pensiero ecologista alla prova del Covid

Nell’evoluzione del suo pensiero verso il pessimismo cosmico, Giacomo Leopardi arriva a considerare la natura non più una madre premurosa verso le sue creature, ma una matrigna indifferente. Ai tempi […]

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 3 febbraio 2022

Nell’evoluzione del suo pensiero verso il pessimismo cosmico, Giacomo Leopardi arriva a considerare la natura non più una madre premurosa verso le sue creature, ma una matrigna indifferente. Ai tempi del coronavirus, la visione si ritrova in chi afferma: gli ecologisti hanno torto, la natura è ostile e l’umanità si può difendere solo diventando più tecnologica e artificiale. O al contrario si sostiene: l’umanità moderna è sempre più artificiale e denaturalizzata, calpesta e invade la natura, poi ogni tanto ne paga il prezzo.

«ENTRAMBE LE SENTENZE contengono elementi di verità ma condividono un medesimo, invalidante difetto: semplificano», spiega questo saggio, Ecologista a chi?, incentrato sul pensiero ecologico – storico, attuale e futuro – il quale deve mettere da parte «pregiudizi e diffidenze verso la scienza e la tecnologia». Così suggerisce l’autore Roberto Della Seta, da decenni impegnato in Legambiente, poi parlamentare.

NEL LIBRO VIENE approfondito il nesso fra ambiente e malattie infettive. Comunque, le epidemie nell’Antropocene ci sono sempre state (non di rado sotto forma di etnocidi veicolati con le conquiste coloniali, come ben descritto da Jared Diamond in Armi, acciaio e malattie), ma, spiega Della Seta, «oggi riusciamo a proteggerci meglio che mai in passato, grazie al nostro essere sempre più artificiali». Cioè moderni.

CON IL «MODERNO», il pensiero ecologico ha un «rapporto complicato e irrisolto, ma intenso», anche se di certo gli ecologisti si rivelano moderni in quanto pionieri e sentinelle: con i loro «allarmi (…) hanno previsto (…) problemi a lungo ignorati». Ma si pensi a come ci si misura con la città: è un emblema della crisi anche sanitaria, una realtà artificiale e denaturalizzata dalla quale fuggire? No, secondo l’autore: «La città è già oggi e sarà sempre di più in futuro la principale nicchia ecologica di Homo sapiens» e dunque là «si giocherà la sfida per ritrovare un modus vivendi sostenibile – ambientalmente, socialmente».

DEL RESTO, COME SI LEGGE in Green Metropolis di D. Owen (2014), «il newyorkese medio (…) genera annualmente 7,1 tonnellate di gas serra, cioè meno del 30% della media nazionale». Sempre tantissimo, certo. Ovviamente i progetti di rigenerazione urbana (un’alternativa al lusso della fuga verso la campagna) devono camminare verso «l’utopia ecotecnologica raccontata più di trenta anni fa da Ernest Callenbach in Ecotopia (1975)», per non sfociare nelle distopie così ben descritte da tanti romanzi e film.

E, INSISTE L’AUTORE, è la capacità tecnologica, «arma di libertà» a rendere Homo sapiens non disarmato di fronte alla crisi climatica odierna che egli stesso ha provocato, come lo era invece di fronte ai cambiamenti naturali del passato. E ci sono i soldi. Molti miliardi del programma europeo Next Generation Eu sono riservati alla transizione ecologica, «prospettiva indispensabile» la quale, oltre che «desiderabile», «deve essere realistica, e per questo ha bisogno di tanta innovazione tecnologica», necessaria a «disaccoppiare il trend della produzione di ricchezza economica, materiale, da quello del consumo di risorse naturali» e a promuovere una riconversione occupazionale oltre che «l’economia della condivisione».

ANCHE IN QUESTO SAGGIO viene citato il rischio del green washing che incombe sul concetto di «transizione ecologica». Del resto l’economia verde è un ottimo affare perfino per i mercati finanziari. Il che forse dovrebbe preoccupare. E di fronte al «pensiero green, chiamato ora alla responsabilità di guidare il mondo», che cosa faranno le forze ambientaliste (comprese quelle in politica, i Verdi, con la loro storia di precursori e la loro attuale parabola?) La necessità, secondo l’autore, è «diventare riformisti restando radicali» e ispirati a una sensibilità solidaristica come nei valori fondativi della sinistra… E secondo l’autore, «il modello capitalistico occidentale degli ultimi 70 anni, indissolubilmente legato con meccanismi di regolazione e inserito in un contesto di controllo democratico, non è affatto incompatibile con la transizione ecologica». Materia per discutere.

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