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Ragionamenti in musica e altre strategie di sopravvivenza

Ragionamenti in musica e altre strategie di sopravvivenzaMaria Pia De Vito – foto di Ianniello/Pasqualini/Fucilla

Incontri Maria Pia De Vito parla di «This Woman’s Work», il nuovo disco incentrato sulla forza delle donne

Pubblicato più di un anno faEdizione del 23 giugno 2023

Artista poliedrica, personalità dalle mille sfaccettature e dai tanti ruoli: compositrice, interprete, insegnante e direttrice artistica di importanti festival. Maria Pia De Vito non mette paletti nella sua ricerca musicale che partendo dal jazz approda a territori lontani e poco conosciuti. Una cifra stilistica caratterizzata proprio da questo continuo desiderio di esplorazione, di scoperta e messa in gioco: il cantautorato anglofono, la musica e la lingua napoletana dal ‘500 ad oggi, l’improvvisazione scat e la costruzione di un vocabolario improvvisativo ispirato al meticciaggio tra culture melodiche e ritmiche diverse. Per arrivare al colpo di genio di tradurre in napoletano il repertorio di Chico Buarque.
Così dopo un album di ricerca, con This Woman’s Work (Parco della Musica Records, ora solo in versione digitale e dal 30 giugno disponibile anche su compact disc) si cimenta in un’operazione decisamente singolare. Perché il disco – una scaletta composta da inediti e da riletture di brani internazionali – riflette sin dal titolo sulla condizione femminile e sulle strategie di sopravvivenza che le donne assumono da secoli a questa parte. L’ispirazione per i testi viene da autrici quali Virginia Woolf, Rebecca Solnit, Margaret Atwood.
«A mio parere – spiega Maria Pia De Vito – certe questioni erano da risolvere non con parole ideologiche, o con demonizzazioni da cancel culture o discutibili quote rosa. Il risultato è questo ragionamento in musica sulle strategie di sopravvivenza delle donne in vari contesti storici o sociali, attraverso una collezione di canzoni, brani originali, adattamenti di poesie in musica e “spoken words“». Un progetto ricco e composito dal punto di vista musicale – e non a caso l’artista campana ha voluto una formazione nuova formata da Mirco Rubegni alla tromba, Giacomo Ancillotto alla chitarra, Matteo Bortone al basso elettrico ed Evita Polidoro alla batteria, un mix elettrico con inserimenti di musica elettronica e – su tutto – le armonizzazioni e la prepotente vocalità della De Vito. Brani originali si è detto – firmati a quattro mani da De Vito e Bortone o da tutto l’ensemble, riprese dal repertorio jazz di Tony Williams e Ornette Coleman o dal canzoniere pop (con la p mauiuscola…) di Fiona Apple, Elvis Costello, Kate Bush. Un disco pieno di riferimenti letterari e poetici potenti, come in Love must be this su testo della poetessa Edna St Vincent Millay. Canzoni che l’artista napoletana porterà anche in tour: il 1 luglio a Prato e poi il 13 a Pisa per riprendere in autunno e in inverno.

Ascoltando il nuovo disco e ripercorrendo la sua carriera – risulta chiaro che lei ha fatto della ricerca in ambito musicale e non la sua ragione di vita artistica…

Per me è una necessità assoluta. E se Dreamers (2020) – l’album precedente – era frutto di una riflessione pre pandemica, dove di fronte alle fake news, a Trump e ai sovranismi mi ero chiesta ’ma insomma dove stiamo andando’, questo disco è stato invece concepito durante la pandemia. Eravamo chiusi in casa e non avevo proprio voglia di comporre musica così mi sono data alla scrittura e alla lettura, raccogliendo suggerimenti della mia amica Rossana Campo. Tra i libri mi ha subito folgorato Ricordi della mia inesistenza, di Rebecca Solnit. Lei parla proprio del suo individuarsi non dall’adolescenza, ma quando va a vivere da sola e a tutte le difficoltà riconducibili al suo essere donna. E così ho iniziato a riflettere sul mio ruolo di musicista che è vissuta felicemente in un ambiente per la quasi totalità maschile. Però io mi sono messa l’armatura di donna forte che sul lavoro è neutra, non fa distinzioni.

 E anche questa è una strategia di sopravvivenza…

Vero. Per progettare questo disco ho riflettuto sulle mie esperienze e di tutte le donne che vedo intorno a me. Spesso giovani donne – perché io insegno da tanti anni e di certi processi che si stanno mettendo in moto mi sto rendendo conto da diverso tempo.

Un album di composizioni originali e riletture. Tra queste quelle di due grandi cantautrici e interpreti; Kate Bush con il brano che intitola il disco e Fiona Apple con «Every single night».

Il brano di Kate Bush lo associavo alla scena di un film (Un amore rinnovato di John Hughes, 1988, ndr), dove una donna sta affrontando un parto difficile mentre il compagno in sala d’attesa si confronta con ansie e paure: ’ho fatto tutto quello che potevo fare, ho detto tutto quello che andava detto?’. Quello di Fiona affronta invece il tema della follia del femminile. Una follia che un tempo era punita in modo molto grave: la protagonista della canzone vuole invece vivere la sua inquietudine e e i demoni, sentire tutto.

«This Woman’s Work» è frutto del lavoro con un gruppo nuovo di zecca….

Tutti giovanissimi: di Matteo Bortone (basso e elettronica e affianca Maria Pia De Vito nella scrittura dei brani originali, ndr) mi ha incuriosito il suo modo di comporre quasi architettonico, rigoroso, frutto dei suoi studi al Conservatorio di Parigi. Mirco Rubegni l’ho sentito suonare molte volte con Petrella, amo il suo modo di suonare la tromba che trovo decisamente emotivo, lirico e molto bello. Evita Polidoro è una musicista – e cantante – fantasiosa, creativa.

Maria Pia De Vito con il quintetto, foto di Ianniello/Pasqualini/Fucilla

Dal disco si percepisce un progetto di insieme che risulta essere al contempo rigoroso e spontaneo

Assolutamente sì. Abbiamo provato parecchio per arrivare a delle forme fluide e poi solo in una fase successiva abbiamo lavorato sui testi. Quella è stata la parte più faticosa, c’è talmente tanto da dire. Ci potrebbe essere anche una serie di album tematici…

Fra i suoi lavori passati spicca un tributo a Joni Mitchell «So Far», inciso per la Cam Jazz nel 2005 . Cosa rappresenta per lei, come musicista e come donna?

Ho incontrato la sua musica a 19 anni, in un viaggio con amici. Ascoltare i suoi dischi è stato uno shock. Un lavoro come Mingus è un miracolo di interplay, una forma canzone declinata in maniera assolutamente non ripetibile. Non a caso viene ancora insegnato nelle scuole di jazz. Nel 2016 (dopo l’ictus che ha colpito Mitchell costringendola a un lungo periodo di inattività, ndr) ho incontrato Wayne Shorter e gli ho chiesto notizie di Joni, preoccupata per le condizioni di salute. Lui mi ha guardato, ha fatto un sorriso a 32 denti, e mi ha detto: «She’s a fighter». Lei è una lottatrice, e infatti è tornata ad esibirsi…

Il 2023 ha segnato la conclusione della sua direzione artistica del festival Bergamo jazz, anni che hanno coinciso purtroppo con la tragedia pandemica…

La pandemia a Bergamo è stato qualcosa di impressionante, scioccante. Abbiamo organizzato delle raccolte fondi e poi ci siamo comunque messi ad organizzare il festival: di fatto nei primi due anni io ne ho organizzati quattro perché programmavano per marzo e poi tutto veniva rimandato, a giugno e poi a settembre, quando siamo riusciti a fare solo tre date. I due anni pieni (2022 e 2023) sono stati bellissimi, un’organizzazione perfetta e un ritorno a livello di pubblico commovente. La gente aveva bisogno di uscire e di sentire musica.

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