Io dentro Io fuori è un percorso, un esperimento di pratiche filosofiche che ha coinvolto uomini e donne, cittadine e cittadini, lavoratrici e lavoratori attraverso le istituzioni, attraverso il sindacato CGIL, nei luoghi di lavoro, in fitti e densi assembramenti attorno ad un libro. Soprattutto è esperienza di relazione e di pensiero con i ragazzi e le ragazze delle scuole secondarie di primo grado, di prima e seconda media.

Il virus ha interrotto la scuola. E i laboratori di pratiche filosofiche non potevano essere sostituiti con una “meet” che a legger bene finisce per fare di quei corpi coinvolti “meat”. Questione di vocali, rimaste strozzate da una addomesticata accondiscendenza a chiamare scuola l’acronimo DaD.

Non se la sono bevuta i ragazzi e le ragazze.

Così abbiamo conservato il nostro legame attraverso un social, nella costante consapevolezza della mancanza e degli irrinunciabili verso cui gli sguardi restavano puntati.

La paura marmorea del primo periodo ha ceduto il passo a venature molli in cui il domandare si è fatto strada attraverso le emozioni e un pensiero critico acerbo ma libero.

Sono stati responsabili, sono rimasti in casa, senza abdicare alla necessità di pensare e di farsi colloquio.

Io dentro Io fuori, già “Io è tanti”.

“Io è tanti” e a tenerli in casa in quarantena, per un tempo lungo e senza parole è un’esperienza intensa, in qualche modo pericolosa.

“La didattica a distanza non è scuola!”, “Ho bisogno di guardare gli occhi della prof quando mi interroga.”, “Mi mancano i compagni e i prof!” l’esperienza della conoscenza ha mostrato essere una imprescindibile esperienza di relazione, dal conosci te stesso alla circolarità complessa all’interno della classe. E fuori per le strade, al primo sole di primavera.

Hanno toccato, con una semplicità e in profondità che occhio adulto usa liquidare con paternalismi da vuoti a rendere, l’irrinunciabile politico che è il farsi scuola.

I ragazzi e le ragazze si fanno scuola nella esperienza dal vivo, in un agone conflittuale e autentico che esplode nei corpi e torna nelle forme di incontri, di relazioni e di legami.

“Io è tanti” come una moltitudine di panni stesi al cielo di un sud: colorati, bianchi, intimi, spudorati, bizzarri e convenzionali.

I panni stesi, attrazione fatale per l’occhio dei fotografi, sono stati segno di visioni e di simbolico, atto politico ora rimosso e dispiegato su casalinghi stendini.

Le lenzuola bianche intrise di rosso crudele ostentate pubblicamente o ad occhi eletti portavoce della integrità fisica di una donna, sostenevano l’onore dei maschi come previsto da legge fino al 1981. Oggi quelle lenzuola non si esibiscono, ma accanto agli stendini le donne, per medesima mano, continuano ad essere ammazzate; anche in quarantena covid-19.

Le lenzuola sono state, in circostanze diverse, simbolo di opposizione alle mafie, segno di altre visioni possibili.

Ma “Io è tanti” e i panni stesi ritratti su un terrazzo, sempre la stesso e per giorni diversi, mostrano come le composizioni e le armonie possano essere molteplici e per farsi chiedono spazi, al pari dei corpi.

Lo spazio del domandare è stato appena inaugurato, le nervature delle domande che riceviamo sono semplici e intense, saltano dalle certezze di un passato toccato nel corpo di una bisnonna che racconta di aver superato colera e dolori alla radicale precarietà di un futuro per cui la politica di mestiere non ha saputo portare parola.

E i giovanissimi lo sentono, e ne fanno pensiero.

Responsabilità è darsi inizio a partire dai corpi in cui la “vita” si è conservata ed è feconda.

*

 

*

post correlati: Se il sentire e il capire non sono separati