«Il vedere viene prima delle parole. Il bambino guarda e riconosce prima di essere in grado di parlare», ci ricorda John Berger, maestro del guardare. Possiamo dire che «la fotografia sono due, o più»? Nella fotografia ci sono molte modalità di uso della macchina fotografica, differenze tra fotoreporter, fotografi di matrimoni o di funerali, paesaggisti, e artisti visivi che usano la fotografia con strumento (ma che spesso non sono propriamente fotografi). A volte i campi si ibridano, si sovrappongono, raramente.

Quella di Raffaele Puce è la ricerca di un artista visivo che conosce tutti i segreti della tecnica fotografica e che ha deciso di usarla per sperimentare. Dirà lui se si sente fotografo o meno. Dopo aver pubblicato Parazioni per le edizioni Aramirè, nel 2006, ha continuato una ricerca che i è articolata in alcuni temi, sia documentando e «trasfigurando» eventi popolari tradizionali, come i riti religiosi, le bande, le luminarie, le musiche e i balli della pizzica, i fuochi d’artificio di giorno, ma anche i concerti delle musiche di ricerca, sia continuando la sperimentazione con la tecnica del pinhole, e le ricognizioni quotidiane di «casi oggettivi» e di fenomeni stranianti. In tutte le ramificazioni delle sue indagini visive è evidente l’importanza dell’intervallo, del respiro, del fattore diastematico, come ci ha insegnato Gillo Dorfles, soprattutto in L’intervallo perduto. Sosteneva il grande filosofo dell’estetica che la perdita dell’intervallo, causata dal sovraccarico di segnali che caratterizza la neuropatologia della vita quotidiana, anestetizza la sensibilità e produce una perdita di senso e delle capacità percettive. Importante è allora reintrodurre il fattore diastematico nella creatività, proprio come fa l’artista salentino.

Puce ha pubblicato un catalogo particolarmente interessante, si tratta di Prule – nell’idioma salentino significa «polvere», anche polvere da sparo – che raccoglie una parte dell’investigazione che il fotografo ha dedicato all’arte pirotecnica, nello specifico alla tradizione dei fuochi d’artificio, precisamente dei fuochi d’artificio di giorno.

Attenzione, quella di Puce non è però semplice documentazione, è trasfigurazione e trasmutazione, perché, come ha scritto Diane Arbus, ci sono cose che nessuno riesce a vedere prima che vengano fotografate. «I fuochi di giorno di Raffaele Puce sono il gioco. Visioni, fantasie, memorie di polvere … Nuvole immaginarie dove ognuno vede quel che vuole, o quel che sogna. Senza inganno o menzogna, senza un’unica, imperturbabile verità», scrive – nei testi del catalogo – l’archeologa Anna Lucia Tempesta.

Prendete le registrazioni di una batteria di fuochi d’artificio. Sovrapponete il suono di una chitarra elettrica con distorsore, o quello di un sintetizzatore, o magari di un piano preparato. Pensate a come John Cage avrebbe composto con questi elementi. Fuochi d’artificio, chitarra elettrica, synt, piano preparato. Sentite? Ora chiudete gli occhi dopo aver guardato il sole. Vedete i fosfeni che si frappongono tra la palpebra e la pupilla? Sì, bene. Aprite gli occhi e davanti a voi avete le foto dei fuochi d’artificio di giorno. Sono fosfeni dell’immaginazione che creano un corto circuito tra occhio, cervello, macchina fotografica e l’evento pirotecnico dei fuochi d’artificio di giorno. Il fosfene è un fenomeno ottico che dà la sensazione di vedere lampi di luce, scie colorate o scintille anche quando si hanno gli occhi chiusi e nessuno stimolo luminoso arriva al cervello. Si manifesta quando ci si strofina gli occhi o quando li si chiude dopo aver guardato una fonte luminosa.

Fosfeni dell’immaginazione che creano un cortocircuito tra occhio, cervello, macchina fotografica e l’evento pirotecnico dei fuochi d’artificio di giorno. La parola fosfene deriva dal greco phos (luce) e phainein (mostrare).

È quello che fa Raffaele, cercare luci e creare mappe per mostrarci ciò che non vediamo. «I fuochi di giorno li vedo da sempre, perché il mio paese di nascita, Scorrano, in Salento, è uno dei posti dove si sparano ogni anno in occasione della festività di Santa Domenica. Li ‘sento’, sia nel senso del sentimento sia nel senso ‘musicale’, importantissimo, visto che i fuochi hanno una delle proprie caratteristiche nel suono: il ritmo dei botti delle batterie dei mortai che sparano, le sequenze.

Con le luminarie e le bande, i fuochi costituiscono la base della festa, dell’effimero», ci racconta il fotografo salentino. Che poi il cielo e le nuvole abbiano un posto importante nella storia dell’arte, da Giotto a De Chirico, da Leonardo a Van Gogh, dal Tiepolo a Kiefer, Puce lo sa e ne tiene conto. Sosteneva Fosco Maraini, nel suo Nuvolario, che il mondo non è più percorso da gente in cerca di nuvole. Il mondo non è più percorso da gente in cerca di visioni. Non è così per Raffaele, artificiere della creatività, che filtra tra occhio e cervello questi eventi che mettono radici nel cielo, e li racconta come fossero nuvole di dimensioni micrometriche in sospensione nell’aria, impurità atmosferiche, campi magnetici aerei, pulsazioni ritmiche, nuclei di condensazione iridata, luce solare, nere nubi temporalesche, pirotecnici cirri, cumulonembi, ma anche tramonti, aurore boreali, stelle comete psichiche.

Arcobaleni che esplodono, origini edeniche della memoria. Rigore dell’immaginazione e celebrazione chimerica in cui spazio esterno e paesaggio interiore si sovrappongono. Tra terra e cielo. Tra realtà e invenzione. Tra idea e materialità della vita. Dal cielo si ricade sempre sulla terra per misurarsi con il pericolo. L’arte è pericolosa. La fotografia di Raffaele è una santabarbara. Foto-occhio. Scriveva Breton: la bellezza sarà convulsiva, esplosiva-fissa, magico-circostanziale, o non sarà.