L’incoronazione di Rafa XIV è a un passo. Il campo centrale di Parigi attende domani solo il successo sul norvegese Ruud. Che è un tipo solido, ma sembra un po’ imbucato alla festa di Nadal, che va per il 14esimo successo al Roland Garros. Quattordici titoli, dominus della terra rossa. Per entrare nella leggenda sarebbe servito assai meno. In attesa del verdetto del campo, c’è già una certezza, in verità esiste da tempo: uno come Nadal non difficilmente ricapiterà nel tennis e nello sport mondiale. E non solo per i trionfi, le prove del Grand Slam vinte, la tirannia al Roland Garros, quel rapporto così lucente tra immortali con Roger Federer.

LO SPAGNOLO è la sintesi dello sport al suo meglio. Vince quasi sempre, ama competere, quando l’avversario molla, lui sale di giri. E quando perde, nonostante sia consumato da infortuni da un decennio, riconosce la forza del vincitore. Il ritiro per infortunio (doloroso) del tedesco Zverev in semifinale davvero l’ha intristito, Rafa voleva vincere sul campo, sudare e meritare la vittoria. E’ il copione di tutta la sua carriera. Se fosse un dio, sarebbe Vulcano. Non cerca mai scuse Nadal. Sa prendere posizioni nette, forti, come l’appoggio agli organizzatori dell’Australian Open che a gennaio hanno preteso la vaccinazione come requisito per l’iscrizione al torneo, che poi ha alimentato la vicenda Djokovic, espulso dal paese per la mancata vaccinazione.

Non è amato come Federer, che è ancora la poesia del tennis. Ma tutti lo stimano. Si è guadagnato lo status di leggenda con il lavoro, l’impegno, il talento.

NON E’ AMATO come Federer, che è ancora la poesia del tennis. Ma tutti lo stimano. Si è guadagnato lo status di leggenda con il lavoro, l’impegno, il talento. A inizio carriera era un martello mancino, con colpi arrotati e una mobilità laterale tale che non aveva quasi bisogno di presentarsi a rete. Gli anni, gli infortuni, l’evoluzione del tennis, anche sui materiali, ora lo portano a un passo dalla rete, a giocare di volo, un fondamentale migliorato con ore e ore di campo, di sudore. E’ risorto mille volte dalle ceneri. Poco meno di un anno fa si è fermato, la sindrome degenerativa di Muller Weiss, che gli ha rosicchiato negli anni lo scafoide tarsale, gli ha presentato il conto. Intervento, riabilitazione, l’insidia del Covid-19, un buio finale di 2021. Poi il trionfo in Australia, poche settimane dopo. rAnche lui, come Federer, come Djokovic, è il tennis. Come lo svizzero, è un esempio per millennials e generazione Z. La sua ossessione per il gioco ricorda anche un altro grande come Kobe Bryant: mai concedere mai sconti al proprio corpo, che è un mezzo spinto all’estremo per la passione della sua vita.

A Madrid, un paio di settimane fa, Rafa ha riconosciuto il nuovo corso di Carlos Alcaraz, 19 anni, designato suo erede, tecnicamente forse anche più avanti del Nadal 19enne che mise paura a Federer al Master 1000 di Miami, nel 2005. “Lui è giovane, è il futuro, io sono vecchio”. Quel vecchietto, 36 anni, ancora non perde colpi. Anche lui, come Federer sino a un paio di anni fa, sembra reggere il confronto con il Tempo che poi, si sa, vince sempre la partita.