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Radio e tv locali, un anniversario da non dimenticare

Ri-mediamo La rubrica settimanale sui media a cura di Vincenzo Vita
Pubblicato 16 minuti faEdizione del 16 ottobre 2024

Si è giustamente scritto e parlato molto dei 100 anni della radio e dei 70 della televisione. Tuttavia, è sembrato sfuggire che cinquant’anni fa una sentenza della Corte costituzionale (n.226 del luglio 1974) dichiarava l’illegittimità dell’art.195 del Testo unico n.156 del 1973 in materia di posta e telecomunicazioni, in base al quale era stato avviato un procedimento penale a carico del fondatore di Telebiella Giuseppe Sacchi. Quest’ultima trasmetteva via cavo e fu l’avanguardia di un movimento che da lì a poco si sarebbe appalesato in modo dirompente. A partire, infatti, dalla successiva sentenza n.202 del 1976, che liberalizzò in ambito locale l’etere, il fenomeno delle stazioni libere assunse caratteri persino clamorosi.

Nacquero pressoché in tutta Italia (con una certa prevalenza del Nord, ovviamente) radio e televisioni inizialmente improntate -salvo eccezioni- a cavalcare con un simpatico spontaneismo la richiesta di rompere i canoni espressivi tradizionali, di cui la Rai era considerata la massima interprete.

Valore e limiti di quell’ondata sono numerosi, se visti con la sapienza del dopo. Va sottolineato, però, che si tratta di un capitolo rilevante della storia dei media, altrimenti ancor più ridotta e omologata.

Come è assai noto il sogno fu via via spezzato e l’assenza di una regolamentazione moderna oltre che di una legge sul conflitto di interessi diede il colpo di grazia. L’ascesa prepotente del cosiddetto duopolio di Rai e Fininvest (poi Mediaset) mise progressivamente ai margini quell’esperienza così importante. Là si formarono volti diventati successivamente famosi; come non va dimenticato quanto grande risultò la promozione di nuovi linguaggi e di una musica ancora sconosciuta in un paese perbenista e provinciale. Con tutto il rispetto, si può affermare che la stessa terza rete diretta da Angelo Guglielmi non avrebbe trovato altrimenti un terreno già arato.

È utile rammentare pure la fortuna breve ed effimera del cavo, di fatto soppresso dalla legge di riforma del servizio pubblico, la n.103 del 1975, che rinchiuse il cavo nell’improbabile nicchia «monocanale». Come se in un’autostrada passasse una macchina per volta.
Dopo tanti anni, comunque, e malgrado la temperie tutt’altro che favorevole, tra la transizione digitale e l’assalto dell’intelligenza artificiale (l’infosfera, ministro Giuli a parte), le emittenti sono ancora qui, per evocare Vasco Rossi.

Ne è significativa testimonianza il bel materiale prodotto dalla maggiore associazione di settore, AERANTI-CORALLO a firma del coordinatore Marco Rossignoli e di Franco Mugerli successore del compianto Luigi Bardelli.
I dati offerti alla lettura sono chiari: a parte le emittenti comunitarie immaginate con una missione non commerciale e tuttora numerose, le imprese radiofoniche sono oltre 1000 e le tv circa 300, intendendo in quest’ultimo caso i soggetti fornitori di servizi di media audiovisivi (FSMA) in ambito locale.

Certamente, soprattutto per la radiofonia i numeri solo qualche anno fa erano superiori, ma va considerata la rivoluzione gentile del Web e dell’approccio con le tecniche digitali. La radio è naturalmente volta alla ri-mediazione e sopravviverà nella futura arca di Noè.
A loro volta le televisioni hanno dovuto subire una riduzione autoritativa per lasciare spazio alla telefonia, con il cosiddetto refarming della preziosa banda MHz. Il mercato del 5G ha vinto, a scapito dell’inquinamento elettromagnetico.

L’aspetto strabiliante, pensando alle origini e alle difficoltà a stabilire adeguate forme contrattuali, emerge – al giugno 2022 – dall’entità dei titolari di un rapporto di lavoro subordinato: 2.235.
A tale cifra non arrivano né la Rai né la versione nazionale delle stazioni private.

Sarebbe interessante se il tema della comunicazione locale perdesse l’impronta minoritaria che ha assunto e magari subito per la scarsa responsabilità permessa da simile collocazione.Il «locale» nell’età della rete vive una seconda giovinezza e ha il diritto e il dovere di resistere sì, ma delineando un modello maturo e plurale. Alternativo.

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