Cultura

Radici in movimento oltre il peso della storia

Radici in movimento oltre il peso della storiaIl sacco di Gerusalemme, rilievo dall’Arco di Tito a Roma

Scaffale In «Roma ebraica - libro da scrivere», Edizioni Austeria, i volti della comunità capitolina nei testi scelti da Laura Quercioli Mincer e nelle foto in bianco e nero di Olek Mincer

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 25 settembre 2020

È una veduta di Roma in bianco e nero che apre Roma ebraica – libro da scrivere (Edizioni Austeria, pp. 204, euro 10). Sul retro della fotografia una citazione del Talmud babilonese: «Tre voci si diffondono da una parte all’altra del mondo: il suono del sole, il frastuono di Roma, e il suono dell’anima al momento in cui si stacca dal corpo».

INIZIA COSÌ IL VIAGGIO per Roma curato da Laura Quercioli Mincer e fotografato da Aleksander (Olek) Mincer, un vagare solo apparentemente senza meta intorno a quel centro geografico e culturale che è sempre stata storicamente la comunità ebraica capitolina, sede di uno dei più antichi insediamenti della Diaspora a partire dal secondo secolo avanti Cristo. Roma ebraica – libro da scrivere la racconta viva e pulsante attraverso brani che ne restituiscono il carattere insieme storico e popolare, dalle ascendenze illustri e dalla parlata romanesca.

Il volume conserva al suo interno pagine bianche, «da scrivere» recita il sottotitolo, per appuntare le tappe di un itinerario personale sia per il turista lontano dal mordi e fuggi compulsivo che per il cittadino romano dallo sguardo curioso. Un libro da appuntare, da segnare, da comporre accanto agli autori. Un modo per raccontare di una comunità viva e in movimento nonostante il peso di tanta storia.

Le righe che riguardano la razzia del 16 ottobre sono tratte da un brano di Giacomo De Benedetti (Roma, novembre 1944): «Dalla via del Portico d’Ottavia giungono lamenti mischiati con grida. La signora S. si affaccia all’angolo della via Sant’Ambrogio col Portico. Com’è vero che prendono tutti, ma proprio tutti, peggio di quanto si potesse immaginare. Nel mezzo della via passano, in fila indiana un po’ sconnessa, le famiglie rastrellate». Non è un caso che la foto che accompagna il brano sia una finestra grigia, murata, sopra la targa che dà conto della toponomastica.

L’ITINERARIO PROPOSTO dalle foto in bianco e nero fa da feroce e ricercato contro altare allo scorrere del tempo narrato dalle citazioni. Sanpietrini bagnati dalla pioggia, archi antichi, portoni importanti e particolari minuti mostrano inquadrature attente e irrituali di un quartiere di Roma che è insieme sospeso nel tempo e calato nella più sincopata contemporaneità.
Nei testi ebraici di cui il volume dà conto – una scelta attenta ai testi della tradizione ebraica e ad autori illustri fino agli osservatori del vivere ebraico contemporaneo – si parte da quel Messia che si trova alle porte di Roma, riconoscibile perché si trova «in mezzo ai miserabili colpiti da piaghe» e che è raccontato nel trattato Sanehedrin del Talmud. Le citazioni costringono ad un viaggio attraverso i secoli, per questo si va da Giuseppe Flavio a Adachiara Zevi, da Immanuel Romano a Sigmund Freud, da Giacoma Limentani a Lia Levi.

«ARRIVAI DA TRIPOLI in braccio a mia nonna – scrive Anna Segre, psicoterapeuta e poetessa, nel brano tratto da Monologhi di poi (Manni) – con dei diamanti cuciti nella bordura del porta enfant». E prosegue, mentre racconta la Roma approdo della diaspora degli ebrei libici in fuga dai pogrom nel 1967: «Io stesso un principe/ in esilio/ che vendette/camicie e giacche/con l’indifferenza/ e la tranquillità di chi/ ha già soldi per mangiare». Un personaggio raffinato che dialoga da lontano con il barbone «ebreo, iscritto e circonciso»: «Non tutti gli ebrei romani hanno una casa/ a cui tornare per dormire/Io dormivo nelle vostre automobili/o sullo scalino davanti alla Ugo Foscolo».

Sul fare della assoluta contemporaneità arriva anche Massimiliano Boni che descrive la ricorrenza di Kippur alla Sinagoga maggiore di Roma: «Dal primo pomeriggio, la marea comincia a crescere, prima in sordina, poi forte, poi in maniera quasi impetuosa, cosicché verso la fine, quando inizia l’ultima preghiera, Neilà, non c’è più un angolo libero, tutti gli ebrei di Roma sembrano rifugiarsi nel loro Tempio, uno stretto all’altro».

Quest’anno, per le prossime celebrazioni, anche nelle sinagoghe ebraiche vige il distanziamento sociale e il numero degli accessi sarà contingentato, non tutti quindi potranno entrare. Ma il libro «da scrivere» racconta – tra testi e immagini – una presenza che inizia lontano e che ancora non è finita.

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