Non è la prima volta che si nota (poco tempo si era visto Marilungo con Stuporosa) ma va registrato come un fenomeno assai interessante l’interesse di giovani coreografi verso le nostre radici etnoantropologiche. Sarebbe stato contento Ernesto De Martino, e con lui Diego Carpitella, di cogliere in una danza tutta proiettata nella contemporaneità, e assai gradita da un pubblico sicuramente giovane e smagato, le radici culturali di angoli “profondi” del nostro paese. Questa volta, nel ritmo inarrestabile di Karrasekare (visto al Vascello nell’ambito di Romaeuropa festival), dove Igor Hernando e Moreno Solinas mescolano e rielaborano in maniera potente le rispettive radici sarde e basche, esplodono e trascinano elementi fortemente riconoscibili del folklore delle loro terre d’origine. Da noi certo più facilmente individuabili in tradizioni ormai in via di sparizione, come «su ballu tondu» tipica forma di danza della antica festosità sarda, oggi visibile solo in cerimonie e ricorrenze specifiche, legate per lo più a festeggiamenti devozionali. Come anche la «morra» sarda, altra tipicità diversa da quella di altri luoghi. Eppure la citazione è trasparente, e di fortissimo impatto. Allo stesso modo di quell’ineluttabile «Morte e pianto rituale» (per usare un fondamentale titolo demartiniano), che nello sviluppo drammaturgico di questa coreografia esplode con forza inoppugnabile. L’effetto è irresistibile e trascinante, bello da vedere e degno di ogni riflessione.