Prima di tutto la voce: dolente, eroica, innamorata e malinconica, poi la storia, anzi le storie. Contare le sedie di Ester Armanino (Einaudi, pp. 166, euro 18) vive interamente nel tono di una donna che non si fa interprete o protagonista della narrazione, ma elemento resistente all’ovvietà dei giorni e degli incontri. La voce, con il suo variare, riflette l’azione, dà forma ai colori di una storia che non si compie in virtù di, ma più spesso in opposizione a. La narrazione ha un movimento meccanico e assume gesti ripetitivi che improvvisamente si scontrano con l’irriducibilità di un sentimento che non può più restare muto e inerme di fronte ai fatti.

ARMANINO COSTRUISCE così una serie di racconti che a loro volta hanno l’unità compatta di un romanzo in forma di scene. Non contano i dati della storia: chi parla, dove, con chi, perché tutto è riconoscibile nel movimento in una lettura che ritrova fiato di volta in volta nella storia successiva. Un vero e proprio novelliere a tratti epico a tratti minimale dentro al quale si rivelano le pressoché infinite sfaccettature di una donna che nella quotidianità non solo offre e si dà voce, bensì mostra quanto poco esplorato sia il territorio della sua emotività.

Contare le sedie cancella ogni ordine prestabilito (anche quello delle storie messe in indice), non richiede nessuna performance e non pretende di dimostrare una teoria o di dare forma ad un discorso compiuto. Anzi la sua stessa frammentazione si rivela come l’unica possibilità alla forma: solo attraverso il taglio è possibile rivelare la storia e restituire alla protagonista il significato di un gesto solo apparentemente ovvio e banale. Armanino strappa alla consuetudine quotidiana il senso di ogni nostro gesto che riassume in sé quel movimento spesso disperato e contraddittorio che sintetizza il passato con le aspettative del futuro. Un libro dunque che dà forma con i suoi strappi e le sue lacerazioni a una contemporaneità che seppure ostinatamente negata nell’incedere dei giorni è insopprimibile in quanto unico luogo in cui l’azione cade e in cui è possibile vivere.

L’ANDAMENTO della protagonista è indeciso, laterale, come se fosse segnato da un perenne ritardo che la obbliga a confrontarsi all’improvviso con gli accadimenti. Un inciampo continuo che non precede mai la caduta, ma lo slancio di un gesto definitivo di apertura.

Contare le sedie esprime la fatica di un tempo che in qualche modo prevede la presenza della protagonista (e della sua voce) sempre in una posizione diversa da quella da lei voluta e giustamente pretesa. È la fatica di scardinare un ordine non richiesto, ma al tempo stesso libera la meraviglia di poterlo fare e di poterlo far accadere con soluzioni finalmente aderenti a se stessa.

Il libro racconta la diversità che si nasconde negli anfratti dell’ovvio là dove la consuetudine non vede e non comprende mimetizzandosi nella formula di un obbligo dovuto, di una necessità improcrastinabile, mentre l’emergenza sta tutta nell’urgenza – questa sì reale – di recuperare sguardi e voci diverse e indipendenti. Non è infatti pensabile che la contemporaneità si regga all’interno di uno sguardo unico.

ARMANINO dà così forma racconto dopo racconto, e in un certo senso frattura dopo frattura, ad una voce libera e originalissima che rielabora il passato con le sue idiosincrasie e nostalgie trasformandolo in un presente vivido che non teme, anzi desidera l’imprevedibile come occasione di un movimento sempre necessario.