Visioni

Rabbia e nostalgia sulle terrazze dell’Avana

Rabbia e nostalgia sulle terrazze dell’Avanauna scena del film Ritorno all'Avana

Cinema Incontro con il regista francese Laurent Cantet che esce anche nelle sale italiane con il suo nuovo film che ha vinto il primo premio alle Giornate degli Autori a Venezia

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 29 ottobre 2014

«Sono sempre stato un idealista con una forte componente di pessimismo, e quindi un po’ penso che gli ideali, qualunque essi siano, non sono mai forti abbastanza da reggere il confronto con quella che è la realtà». Il conflitto tra ideale e realtà, con cui Laurent Cantet definisce il suo pensiero, è al centro del suo Ritorno a L’Avana, film con cui ha vinto il primo premio alle Giornate degli Autori al Festival di Venezia in uscita nelle nostre sale domani. A Cuba, cinque amici di vecchia data si ritrovano a festeggiare il ritorno di uno di loro dalla Spagna, Amadeo, dopo 16 anni di assenza da Cuba, da cui era fuggito durante il «periodo speciale» della fame e della paura diffusa.

Come evoca bene il titolo originale, Retour à Ithaque, il film gira intorno al nostos: quello di Amadeo per il suo paese e quello di tutti i convitati per gli anni della giovinezza e degli ideali perduti, la fede nella rivoluzione castrista, che lasciano il posto all’amarezza ed alla disillusione.
«Secondo me quello che sperano di ritrovare è proprio lo spirito di gruppo – spiega Cantet – ritornare ad essere quello che erano, la forza che stare insieme dava ad ognuno di loro, lo slancio della giovinezza». Come in La terrazza di Ettore Scola, a cui Laurent Cantet ammette di aver pensato in fase di scrittura del film insieme al co-sceneggiatore – lo scrittore cubano Leonardo Padura – «ci si ritrova sulla terrazza per fare un po’ il punto di quella che è stata la propria vita, di quello che è successo, delle cose in cui si è creduto, di cosa si è diventati».

Sotto questo aspetto è una storia cubana che tocca però temi che riguardano tutto il mondo: «la cosa che mi ha colpito molto scrivendo questo film – continua Cantet – è stata proprio l’idea di raccontare una storia che è profondamente cubana, toccando però degli argomenti e dei sentimenti che potessero avere una valenza universale. E cioè appunto le delusioni, l’amarezza per quello che è successo, che possono essere comuni a tutti».

Oltre a quella dei protagonisti, nati negli anni della rivoluzione e quindi nel pieno dell’utopia realizzata, Ritorno a L’Avana ci mostra anche la generazione precedente e quella dei più giovani: il figlio del padrone di casa, Aldo, che vorrebbe solo poter andare via da Cuba. «Il personaggio del figlio di Aldo rappresenta bene tanti giovani con cui ho parlato durante il mio soggiorno a Cuba – spiega ancora il regista – c’è qualcosa che li accomuna tutti, nel senso che molti di loro oggi hanno voglia di allargare i propri orizzonti, di andare via. Sicuramente poi a Cuba la vita non è semplice, cosa che accresce il desiderio di fuggire. Ed infine molti giovani cubani sentono sulle loro spalle il peso di quello che è stato il passato, la storia dei loro genitori. C’è questa voglia delle nuove generazioni di riappropriarsi della Storia e di fare la loro. Forse noi come stranieri, che guardiamo questa situazione da lontano, possiamo ancora considerare il mito di Cuba, anche con una certa nostalgia, invece i giovani cubani di oggi hanno maggiore difficoltà a vederla in questa maniera». Ed in definitiva, per quanto disillusi e sofferenti, i protagonisti più in là con gli anni hanno almeno avuto il privilegio di vivere il sogno. «Il fatto di aver creduto in questo ideale, anche se poi non si è realizzato, è qualcosa che comunque li ha resi più forti – spiega infatti Cantet – in fondo sono tutti rimasti lì tranne uno, che se n’è andato e però ha deciso pure di tornare».

Il tempo ha lasciato comunque delle cicatrici in tutti quanti, e specialmente la paura, altro tema ricorrente del film: la paura delle persecuzioni, della fame, delle proprie idee e aspirazioni. «A un certo si percepisce la paura ovunque, un sentimento forte che arriva ad assumere quasi una dimensione fisica. Ma la sensazione che si ha oggi a Cuba è che questa paura che aleggiava un po’ ovunque forse non c’è più, oggi i cubani sono pronti a rimettere in discussione le cose». Ed è da questa distensione che nasce lo stesso film di Cantet, approvato dalla censura cubana nonostante la critica esplicita al regime e invitato addirittura a partecipare al Festival dell’Avana: «Qualche anno fa non sarebbe stato possibile», ammette il regista francese.

Nonostante la distensione, la generazione portata sullo schermo da Cantet è destinata comunque a scontare il momento in cui l’ideale si scontra con la realtà, che è poi il filo conduttore della filmografia del regista di La classe – Entre les murs, vincitore della palma d’oro a Cannes nel 2008.

«Anche se a prima vista questo film potrebbe sembrare un po’ un inedito nell’ambito della mia cinematografia – perché è girato a Cuba, perché la lingua è lo spagnolo, perché è stato co-sceneggiato da Padura, in realtà la trama racconta una storia sempre presente nei miei lavori. Anche in FoxfireRagazze cattive c’era il sogno di costruire una società ideale, comunista, che poi non si avvera perché ci si si scontra con quella che è la violenza del mondo, che si oppone a questo sogno. Per questo mi sono sentito legittimato a raccontare questa storia, proprio perché trattava argomenti che avevo sempre affrontato nelle mie precedenti opere».

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento