R.y.f: «Suono per la comunanza»
Intervista La musicista racconta il suo ultimo album e l’esperienza con la compagnia teatrale Motus
Intervista La musicista racconta il suo ultimo album e l’esperienza con la compagnia teatrale Motus
È un mutamento radicale, nello stile e nei suoni, quello che ascoltiamo nel nuovo disco di R.y.f. (che sta per Restless Yellow Flowers, i fiori inquieti del romanzo Il maestro e Margherita), nome d’arte di Francesca Morello, musicista veneta di base a Ravenna che ha dato alla luce Everything burns per Bronson Recordings. Un potentissimo invito a esprimere se stessi, un lavoro in cui post punk, dance, sintetizzatori e drum machines creano un mondo in cui «la normalità è noiosa», e la celebrazione queer ha finalmente preso il sopravvento. Sembra passato un secolo dalla pubblicazione di Shameful Tomboy, piccolo gioiello pubblicato per Dio Drone, in cui il cantautorato sofferto, intimista, portava alla luce le difficoltà di una bambina additata come «maschiaccio», che anche grazie alla musica ha trovato il modo per accettarsi. Eppure era la fine del 2019, per la primavera successiva erano in programma un tour italiano e uno in Germania, quando la pandemia è arrivata. Everything burns è nato quasi per caso, a seguito di una serie di coincidenze che hanno portato R.Y.F. a esordire in teatro e a prendere parte a una residenza artistica, cui è seguita la registrazione del disco.
«A UN CERTO PUNTO è uscita questa chiamata dei Motus» spiega Morello, «cercavano dei musicisti per il loro nuovo spettacolo. E io durante il lockdown mi ero messa un po’ a giocare con sintetizzatori e batterie elettroniche. Ho registrato un paio di pezzi e glieli ho mandati. Conoscevano già comunque il mio lavoro». La compagnia teatrale guidata da Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande aveva infatti usato un brano di R.Y.F., 8 (Hate), per accompagnare uno dei monologhi presenti in Raffiche. Per il nuovo Tutto brucia, spettacolo ispirato a Le troiane di Euripide, a seguito di prove e workshop per ultimare le selezioni, sono stati scelti infine Demetrio Cecchitelli a seguire il sound design e R.y.f., a cantare e suonare la chitarra sul palco insieme alle performer Stefania Tansini e Silvia Calderoni. «Io non avevo mai lavorato con il teatro» riflette Morello, «e tra l’altro suono da sola da sempre, è stato davvero bello interfacciarmi con qualcun altro in questo modo».
Uno dei brani presenti nel disco, Pocket full of ashes, ha preso forma proprio durante le prove dello spettacolo. «Stavamo facendo questa improvvisazione sul personaggio di Ecuba e Silvia ha cominciato letteralmente a riempirsi le tasche della cenere usata come scenografia, e mentre andava questo loop di chitarra e synth, a me è venuto spontaneo cominciare a cantare il ritornello». A settembre Tutto brucia ha finalmente esordito al Teatro India di Roma, con tredici repliche consecutive. Nel frattempo, è arrivata la proposta di Chris Angiolini del Bronson di Ravenna. Grazie a un bando delle regione Emilia Romagna, R.y.f. ha potuto essere ospitata in residenza, per realizzare un nuovo disco nel locale fermo per l’impossibilità di proporre concerti. A seguire la produzione c’era Bruno Dorella, mentre l’album è stato registrato da Andrea Cola e il mixaggio affidato a Maurizio Baggio. In Normal is boring, scelto come secondo singolo, compare il duo bolognese dei So Beast. Il risultato finale ha sorpreso tutti: «Quando abbiamo sentito il mix definitivo eravamo davvero tutti entusiasti», racconta Morello. Il titolo Everything burns richiama volutamente lo spettacolo dei Motus.
SE IL SOUND si è evoluto, allontanando R.y.f. dal cantautorato e portandola in una dimensione più vicina all’approccio di una forza come Peaches o dell’attivismo di Moor Mother , i testi affrontano molti dei temi già presenti in Shameful Tomboy. «Lì mi sono aperta verso l’esterno, rendendo più pubblico il mio privato» riflette Morello. «In questo disco le tematiche sono in continuità, ma in più volevo che il messaggio fosse indirizzato a una comunità, verso le altre persone. Visto il clima di intolleranza generale, volevo riuscire a comunicare con qualsiasi persona che si sente a disagio, che si sente abbandonata, che si sente oppressa, diversa, dire a queste persone che non sono sole, che c’è tutto un mondo lì fuori che magari in questo momento non vedono ma c’è, e vuole dar loro appoggio. Soprattutto adesso mi sto accorgendo che forse l’unico modo, da sempre, è quello di darsi una mano tutte e tutti quanti insieme. Sennò non si va da nessuna parte».
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