Quirinale, si parte il 24 gennaio. Lite Letta-Salvini su Berlusconi
La corsa Il leader dem: togliete il nome del Cavaliere dal tavolo. Il leghista: basta mettere veti. Nel Pd chiuso il caso D'Alema
La corsa Il leader dem: togliete il nome del Cavaliere dal tavolo. Il leghista: basta mettere veti. Nel Pd chiuso il caso D'Alema
Oggi si conoscerà ufficialmente la data per la prima votazione del nuovo presidente della Repubblica. Sarà Roberto Fico a convocare il parlamento seduta comune, presumibilmente il 24 gennaio.
Un percorso complicato non solo dalle divisioni tra e nei partiti, ma anche dal Covid che potrebbe impedire a un centinaio di grandi elettori (su un totale di 1008) di partecipare al voto. Queste almeno le stime che circolano nei palazzi, prendendo come riferimento i circa 40 assenti tra malati e in quarantena nelle votazioni di fine anno sulla legge di bilancio.
Di certo si sa che, nonostante le assenze per Covid, i quorum restano invariati: servono almeno 672 voti nei primi tre scrutini e 505 a partire dal quarto. Confermato anche il fatto che ci sarà una sola votazione al giorno, e per fasce orarie, per evitare assembramenti e consentire l’igienizzazione dell’aula.
Sul nome del successore di Sergio Mattarella continua lo stallo armato. «Finché il centrodestra ha una posizione ufficiale attorno a Berlusconi, il dibattito resta congelato», fanno sapere dal Pd a un Salvini che si affanna per convocare un tavolo di tutti i leader. «Irricevibile» è il giudizio che i dem danno sul Cavaliere.
Il leghista non demorde e rimane attaccato al telefono con i vari leader «per condividere almeno un metodo». Il muro dem irrita il segretario del Carroccio: «Mentre Letta mette veti e perde tempo, la Lega lavora per fare veloce e perché tutti siano coinvolti, nessuno escluso», insistono da via Bellerio.
In casa Pd gli occhi sono puntati sul 13 gennaio, quando il segretario riunirà la direzione insieme ai gruppi parlamentari. L’obiettivo di Letta è uscire dall’incontro con criteri e paletti condivisi da tutto il partito, e con un «mandato pieno» per la trattativa. Quanto al rapporto con gli alleati, Letta ribadisce il filo diretto con Giuseppe Conte e Roberto Speranza, qual patto di consultazione siglato a cena prima di Natale. E incassa anche il fatto che dal M5S trapeli che «non ci sono veti o preclusioni su Draghi». Ma l’assemblea dei senatori grillini ieri si è espressa in coro per il bis di Mattarella.
Certo, la strada del Colle per il premier resta in salita, anche se ci fosse un accordo tra i leader. Tra i parlamentari di tutti i partiti resta radicata l’idea che eleggendo lui si andrebbe dritti al voto. E questo resta uno scoglio enorme.
Tra i dem restano gli echi per le parole di Massimo D’Alema, che il 31 dicembre ha annunciato il rientro nel Pd «guarito» dopo la «malattia renziana». Letta l’ha subito bacchettato («Nessuna malattia e nessuna guarigione»), ma i renziani del Pd sono subito insorti per contestare «lo spostamento a sinistra». L’ex capogruppo Marcucci si è spinto a chiedere un congresso anticipato, ma Alessandro Alfieri, coordinatore di Base riformista, l’ha subito stoppato: «Si farà nel 2023 a scadenza naturale». «Caso chiuso», anche per il ministro Guerini, numero uno della corrente ex renziana.
Dura la prodiana Sandra Zampa: «D’Alema non ha mai creduto nel Pd». «È il momento di guardare avanti, non indietro», dice da Art.1 Federico Fornaro.
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