Quirinale, risate e denti stretti
L'insediamento Ex dc e ex pci uniti nella commozione. Forzisti storditi. Da Amato a Casini, i candidati rimasti sul campo ammettono di averci sperato almeno «un pochino»
L'insediamento Ex dc e ex pci uniti nella commozione. Forzisti storditi. Da Amato a Casini, i candidati rimasti sul campo ammettono di averci sperato almeno «un pochino»
Gli ex democristiani, quelli si sa, da giorni pascolano in Transatlantico praticamente in estasi, prodighi di aneddoti, previsioni e «io sì che lo conosco bene» in favore di taccuino, Pierluigi Castagnetti e Rosy Bindi in prima fila a fare gli alfieri del mattarellismo, Sergio D’Antoni che dalla votazione senza quorum di giovedì scorso non smette di dare pacche sulle spalle ridendo di gusto e Paolo Cirino Pomicino che vuole spiegare a tutti quanto la sa lunga.
Ma il clima che si diffonde per Montecitorio durante e subito dopo il giuramento di Sergio Mattarella non registra semplicemente e banalmente il riaffacciarsi del sempreverde orgoglio scudocrociato. Anche gli ex diessini del Pd e i parlamentari a sinistra dello stesso Pd sembrano come rianimati dall’asciutto discorso del presidente venuto dalla prima repubblica. Gli esponenti di Sel e il loro leader non risparmiano aggettivi: «Una straordinaria densità culturale, una straordinaria fedeltà allo spirito della nostra carta costituzionale, un grande discorso di grande bellezza…», commenta Nichi Vendola. L’ex segretario dem Pierluigi Bersani entra nella buvette affollata rosso in volto dalla contentezza, come ripagato da tante amarezze, e poi si lancia in apprezzamenti: «È semplicemente Mattarella, la sensibilità, la sobrietà, i valori. Gli do il massimo dei voti, è fantastico». Solo un perfido Enrico Mentana riesce a rovinargli il buon umore che la pioggia battente non aveva scalfito, insistendo sul mancato invito alla cerimonia al Quirinale dove «ho visto cani e porci» e poi «lei è un ex presidente del consiglio incaricato», infierisce «Chicco» e a questo punto Bersani cede alla provocazione: «Come no, incaricato e anche scaricato».
Siparietti tv a parte, a Montecitorio, nonostante i 42 applausi che costellano il discorso del presidente, molti dei quali riescono a attraversare l’intero emiciclo (i Fratelli d’Italia per esempio si spellano le mani per i marò), non è però il giorno della concordia ritrovata. Certo, Angelino Alfano continua a fare il muro di gomma dicendosi «sempre più convinto» di avere infine scelto di votare per Mattarella. Mentre il ministro di Ncd Maurizio Lupi, quello che non vuole «essere il tappetino di Renzi», tradisce una certa irritazione quando è costretto a sedersi tra i banchi dei deputati perché entra in aula troppo tardi e quelli del governo sono già pieni. Sarà un segno? Tra le file forziste, il gelo non è dissimulato, anche perché in diversi capannelli «azzurri» si affilano le armi per lo scontro interno. Poche dichiarazioni, spesso discordi (Maurizio Gasparri, ospite al Quirinale, è costretto a sbilanciarsi ma anche lui si concentra soprattutto sui marò), con il solito Renato Brunetta che come tante altre volte invoca la «pacificazione», cioè un qualche salvacondotto per Berlusconi.
Sul campo restano anche gli ex candidati, che al termine di questa lunga partita quirinalizia, diversamente da quanto solitamente avviene, a denti stretti ammettono la delusione, «un pochino ci speravo», riconosce Casini con i giornalisti fuori dal Quirinale. Come lui ospite della cerimonia al Colle, nel salone delle feste, anche Giuliano Amato scherza ma mica tanto, «Mattarella era il mio candidato preferito, dopo di me». E Walter Veltroni, pur assicurando che certo, «Mattarella è la soluzione migliore», confessa a Massimo Giannini su Ballarò, che «a me naturalmente ha fatto piacere che si parlasse del mio nome, dai sondaggi, dalla gente per strada mi ha fatto piacere che fosse riconosciuto un atteggiamento non fazioso, di essere un uomo di parte come io sono, essendo un uomo di sinistra, che però nella sua vita si è sempre sforzato di cercare di interpretare ruoli istituzionali non con uno spirito fazioso». Ma «il presidente del consiglio ha fatto un’operazione politica». Insomma, in tanti ci avevano non solo sperato, ma creduto. E chissà che qualcuno non voglia presentare un qualche conto a Matteo Renzi.
Lui, il premier segretario, che ha seguito per tutta la giornata il nuovo capo dello stato e con lui si è intrattenuto a conversare privatamente dopo il rito delle dimissioni respinte, si gode la giornata che corona la sua vittoria sui partitini che i più «non sanno neanche che esistono», continua a infierire, e «non metto il governo nelle mani di una discussione vecchia maniera, le verifiche si facevano nella prima repubblica». Ripete che andrà avanti come un treno sulla legge elettorale senza concedere più nulla e spiega che Sergio Mattarella era proprio il suo candidato. Ma che sarà il «suo» presidente, è difficile immaginarlo.
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