Nella sua ultra trentennale storia parlamentare, la Lega non ha mai partecipato a un’elezione del presidente della Repubblica, con l’eccezione del mandato breve del secondo Napolitano nel 2013. Sia nel caso del presidente eletto al primo scrutinio con la maggioranza dei due terzi (Ciampi nel 1999) sia negli altri casi (Scalfaro nel ’92, Napolitano nel 2006 e Mattarella nel 2015), la Lega si è sempre chiamata fuori scegliendo di votare per candidati di bandiera (da Gianfranco Miglio a Vittorio Feltri). Questa volta, forte del secondo gruppo tra i prossimi grandi elettori – i suoi saranno oltre duecento – e di una leadership del centrodestra che tende ad auto attribuirsi, Matteo Salvini ha intenzione non solo di partecipare, ma di guidare il gioco. «La Lega ha l’onore di guidare un centrodestra che ha le carte giuste per essere protagonista della scelta del presidente», ha detto ieri. Annunciando che «da lunedì», domani, «chiamerò tutti i segretari dei partiti, dal più piccolo al più grande, per dire sediamoci intorno a un tavolo e parliamone».

A incoraggiarlo c’è Matteo Renzi, che ospite della festa romana di Fratelli d’Italia ha sostenuto che «per la prima volta il centrodestra ha dei numeri in maggioranza, il 45% dei grandi elettori. Stavolta il ruolo di “king maker” tocca a voi». Non è esattamente così, perché quando si apriranno le votazioni per il presidente della Repubblica e i grandi elettori saranno 1.008 (oggi ci sono due seggi vacanti che saranno assegnati), centrodestra e centrosinistra partiranno affiancati: 443 a 440. Entrambi lontani dalle maggioranze richieste, sia quella dei due terzi nelle prime tre votazioni (672) sia la maggioranza assoluta sufficiente dalla quarta (505). È vero che il centrodestra può avere un margine di manovra maggiore rispetto al centrosinistra nel «territorio di caccia» dei gruppi misti, 123 voti tra camera e senato. Ma Renzi consegnando l’iniziativa a Salvini e alla destra vuole soprattutto toglierla al centrosinistra e a Letta. Svincolando i «suoi» 43 grandi elettori di Italia viva da quel campo.

A circa un mese dall’inizio delle votazioni per il presidente, la mossa Renzi-Salvini è una risposta alle prime iniziative del segretario del Pd. Letta non sfugge più l’argomento Quirinale e un po’ alla volta sta disegnando il profilo del suo candidato: quello dell’attuale presidente del Consiglio. «Sono sicuro che il nostro paese avrà a fine gennaio un presidente o una presidente eletto a larga maggioranza e rapidamente dalle camere riunite in seduta comune». Elezione rapida entro fine gennaio significa elezione con la maggioranza dei due terzi, esito oggi immaginabile solo a vantaggio di Mario Draghi. Letta sa bene qual è il principale – forse l’unico – ostacolo per questa soluzione: la paura che i parlamentari grandi elettori hanno dello scioglimento anticipato della legislatura in conseguenza della fine del governo Draghi. E infatti accompagna la sua “previsione” sul Quirinale con una certezza sulle elezioni: «Le prossime politiche ci saranno nel 2023, non prima».

Rassicurazioni che ovviamente non bastano a chi si oppone allo schema Draghi, che ha il suo precedente più prossimo nell’elezione al primo turno di Carlo Azeglio Ciampi (non parlamentare ed ex governatore della Banca d’Italia anche lui). Infatti Renzi profetizza che una decisione a larga maggioranza «sarà difficile» e tenta Salvini (che tutta questa voglia di votare non ha) spingendolo ad avanzare una proposta di centrodestra che allontanerebbe la scelta di Draghi. Il leader di Italia viva sa che puntando sulla paura del voto anticipato si può vincere facile, lo ha già fatto due volte in questa legislatura in occasione delle crisi dei due governi Conte. «Ho l’impressione che tanti leader vogliano votare nel 2022», ha quindi ripetuto ieri dal palco di Fratelli d’Italia. Nel frattempo tra i parlamentari 5 Stelle si diffondeva il panico per una frase in tv buttata lì da uno dei nuovi vicepresidenti di Conte: «Il M5S è pronto alle elezioni politiche». Rendendo sempre più evidente che la strada per mandare Draghi al Quirinale non può non passare per un accordo che dia garanzie sul nuovo governo e sul prosieguo della legislatura.