Cultura

Quinoa, zenzero, daikon e meno carne. Così gli italiani cambiano dieta

Quinoa, zenzero, daikon e meno carne. Così gli italiani cambiano dieta

Ficcare il naso nel carrello della spesa è sempre un esercizio utile per tracciare l’identikit dei «nuovi italiani», come li definisce il Rapporto Coop 2016, anche a prescindere dal cibo […]

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 19 ottobre 2016

Ficcare il naso nel carrello della spesa è sempre un esercizio utile per tracciare l’identikit dei «nuovi italiani», come li definisce il Rapporto Coop 2016, anche a prescindere dal cibo che consumano per nutrirsi e sentirsi meglio con se stessi. Un’esigenza che non ha solo a che fare con l’apparato digerente. Se n’è parlato diffusamente al Salone del Gusto che si è tenuto a Torino. Intanto siamo diventati il popolo più magro d’Europa, bene, non a causa della fame ma perché attraverso gli alimenti cerchiamo di ripulire il corpo e in qualche modo pure lo spirito – l’esplosione di alcuni ingredienti «antichi», suggerisce il rapporto, viene anche associata a nuovi stili di vita che si ispirano ad alcune forme di pseudo religiosità. Si mangia meno ma meglio. Si scelgono prodotti più global (è cresciuto dell’8% il consumo di prodotti etnici nel primo semestre del 2016) decisamente più light e ci si orienta con un’attitudine esasperante verso i cibi “senza” (senza sale, glutine, zucchero, lattosio…). Le abitudini alimentari negli ultimi anni sono state scosse dal mito del superfood naturale cui vengono attribuite proprietà terapeutiche miracolose: zenzero, curcuma, avocado, daikon (un ravanello bianco cinese) e quinoa «sono parole cercate ossessivamente anche in rete». Tanta curiosità influisce sui fatturati in crescita: il business relativo allo zenzero nell’ultimo anno è aumentato del 141%, la curcuma ha segnato un più 93%. Cresce anche l’interesse per le alghe, solo un italiano su cinque dice che non le mangerebbe mai. Prodigi del marketing, e qualcosa di più complesso.

La ricerca (o ossessione) del benessere influisce soprattutto sui due comparti che meglio definiscono non solo gusti ma anche stili di vita: carne e/o verdura. Il dato è ormai incontrovertibile: il consumo di proteine animali è in caduta libera (meno 13% in sei anni) mentre aumenta esponenzialmente il consumo di frutta e verdura. Quanto al bio o presunto tale, ormai è diventato consumo di massa. Secondo i dati Nielsen elaborati la scorsa primavera, quattro famiglie su dieci acquistano con regolarità prodotti vegetariani. Negli ultimi anni il settore ha registrato una crescita notevole. Rispetto al 2013, per esempio, sono raddoppiate le vendite di prodotti a base di soia e di latte vegetale. Giro d’affari nel 2016: 357 milioni di euro solo nella grande distribuzione, più 18% in un anno.

C’è un altro dato interessante che riguarda il nuovo credo salutista: gli italiani mangiano meno di prima. I consumi, in quantità, sono tornati ai livelli della fine degli anni Sessanta: 2,35 chili di cibo al giorno distribuito sui tre pasti principali. Rispetto ai primi anni Duemila sono stati eliminati circa 230 grammi di cibo al giorno (meno 9%). Cosa? Carne. Decisivo è stato l’allarme lanciato esattamente un anno fa dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) secondo cui esiste una correlazione tra l’eccessivo consumo di carni rosse e il rischio di ammalarsi di tumore. Solo nei primi sei mesi dell’anno in corso, infatti, si è verificato un calo di vendite di carni ed insaccati del 4% (secondo una stima nel 2016 gli italiani dovrebbero arrivare a consumare circa 210 grammi di carne al giorno, sui livelli della metà degli anni Ottanta). La svolta salutista ha fatto una vittima illustre: le vendite del wurstel sono scese del 12,5% nei primi sei mesi dell’anno. Senza bisogno di essere professionisti della nutrizione, gli italiani a caccia di proteine sane si sono orientati verso legumi e cereali (in un anno le vendite di fagioli secchi sono cresciute del 21,4%, le vendite di ceci del 12% e di lenticchie dell’11%).Secondo il rapporto, saremmo diventati anche più curiosi nei confronti dei nuovi sapori e dunque più disposti di altri popoli a sperimentare nuove ricette (bisognerebbe aggiungere che all’estero si continua a fare dell’ironia anche pesante sull’ossessione degli italiani per il cibo). La voglia di rinnovamento a tavola, per esempio, si ritrova in quel 39% che dichiara di provare per primo certi prodotti rispetto alla cerchia di amici e parenti. Mangiare diverso e vantarsene (e magari postare i piatti sui social esibendo la performance di pornografia gastronomica). La grande distribuzione sta facendo grande attenzione anche alle ricerche in rete di consumatori,«perché ciò che viene digitato oggi è nel carrello di domani». Lo zenzero, per esempio, è insuperabile (+106% nelle ricerche on-line) e nella grande distribuzione ha triplicato le vendite: 4,1 milioni di euro nel primo semestre del 2016. Notevole anche il boom di semi e frutta secca (+ 40% per un affare da 12 milioni di euro all’anno).

I puristi della dieta mediterranea possono stare tranquilli, la tradizione, almeno curiosando al computer, è garantita dalla ricerca di altre parole chiave sempre associate al termine «ricetta»: tra le prime quindici figurano prezzemolo, fragole, lattuga, capperi, sedano, rucola e uva. C’è poi un altro ingurgitare molto di moda che, pur non dispiacendo ai supermercati, pone un’altra serie di problemi non solo nutrizionali: pillole, ricostituenti, vitamine, beveroni e integratori di varia natura, il cosiddetto «altro cibo» che dovrebbe garantire una sorta di benessere perenne. Le cifre del mercato italiano sono da record in Europa: spendiamo oltre 2,5 miliardi all’anno per cercare di sentirci meglio (+ 7,7%). O almeno ci crediamo.

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