Cultura

Quello spostamento necessario nella storia dell’umanità

Quello spostamento necessario nella storia dell’umanitàSusan Wei, «Children Are Not Criminals» (2014)

SCAFFALE A proposito di «Migrazioni. La rivoluzione dei Global compact», di Valerio Calzolaio

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 1 agosto 2019

Lo sapevate che l’Italia – quella di ieri già bruttina, ma ancora non così brutta come quella di oggi – è fra i ventisette paesi che non hanno firmato il secondo accordo del Global Compact on Refugees approvato dall’Assemblea generale dell’Onu il 17 dicembre 2018, quello che riguarda specificamente i migranti non di necessità bensì di parziale libertà, categoria come si sa difficile da definire visto che si tratta comunque di disgraziati che non rischiano certo la vita sui barconi per divertimento?
Cito per prima questa informazione che fornisce l’ultimo libro di Valerio Calzolaio (uno dei pionieri del Manifesto e poi del Pdup nelle Marche, persino sottosegretario all’ambiente nel famoso governo Prodi bis) – che in realtà prende molto alla larga, e dalla preistoria, il fenomeno delle migrazioni – perché mi ha sbalordito. (E mi ha fatto anche vergognare, perché non lo sapevo neppure io). Con una parte di giornali stracolmi di indignazione per quanto accade nel Mediterrano nessuno ha trovato il modo di farci sapere l’ennesima malefatta del nostro paese. E noi siamo tanto distratti dal non averlo saputo.

LO DICO perché non si finisce più, ormai, di indignarsi a vuoto. Penso all’esaltazione di Greta, per esempio, allegramente accompagnata dal silenzio su quanto non viene rimosso sebbene sia causa grave della catastrofe climatica perché farlo disturberebbe il sistema.
Nel libro di Valerio Calzolaio – Migrazioni. La rivoluzione dei Global compact (edizioni Doppiavoce, pp. 80, euro 11) – questo è tuttavia un dettaglio, perché di migrazioni, quando non si cavillava sul fatto che fossero di necessità o meno ed eventualmente di quale categoria, ce ne sono da decine di migliaia di anni. Anzi: non c’è mai stato – ci racconta l’autore – un tempo di isolamento abbastanza lungo da far divenire un gruppo razza o specie tanto diversamente definita da giustificare una distinzione così netta.
E infatti sembra che ciascuno di noi condivida un antenato comune vissuto entro gli ultimi 3mila anni; e che abbiamo persino, per il 99,9%, cioè quasi tutto, lo stesso Dna. (Ahimè, lo abbiamo in comune anche con Salvini!).
Vuol dire che ci siamo mossi sempre, camminando e camminando (e perciò abbiamo tutti più o meno belle gambe), in seguito sviluppando il cervello fino a farci scoprire che era più comodo navigare.
Solo le piante – come ci ha informato un altro bellissimo libro, quello di Stefano Mancuso (L’incredibile viaggio delle piante) – riescono invece a stare ferme e tuttavia a procurarsi, grazie all’intelligente movimento di rami e fogliame, quanto gli serve per svilupparsi e vivere. L’essere umano no, non possiede questa duttilità, nonostante abbia le gambe. Spesso pur avendo il vantaggio degli arti, e anche facendo salti mortali, al contesto in cui è finito non è riuscito ad adattarsi mai.

Sarebbe indispensabile – nota Valerio – un atlante geo-storico globale delle migrazioni umane, per capire meglio da dove veniamo e come ci siamo mossi nei millenni attraverso la Terra. Purtroppo non c’è, l’impresa, pur urgente, non è stata mai davvero tentata. E viene da pensare che il disimpegno non sia stato del tutto casuale: perché ci avrebbe costretto a prendere atto che ogni popolo è nato «altrove». (Con una sola eccezione: sembra infatti che gli aborigeni australiani, pur arrivati anche loro in quel continente da un altrove, siano riusciti a restare nel medesimo territorio per 50mila anni ).
Valerio suggerisce un’altra, specifica e a me pare interessantissima ricerca: ricostruire la storia dell’umanità – e dunque dei suoi movimenti attraverso il globo – assumendo un’ottica di genere. Anche questa mai affrontata, un altro enorme buco che abbiamo patito senza protestare. Oggi di migranti, ogni categoria inclusa, ce ne è pressappoco un miliardo: un numero grande quasi come quello dei cittadini della Cina o dell’India. Un’enormità.

CALZOLAIO, che oltre a essere uno studioso è sempre stato anche un militante, termina il libro con indicazioni pratiche: leggere e attuare, ognuno nel proprio ruolo sociale o istituzionale, i principi e gli indirizzi del primo accordo Global Compact, quello sottoscritto anche dall’Italia, e però anche del secondo che il nostro paese non ha votato, sì da adoperarsi per siglare patti che riducano le migrazioni forzate, e per regolare la libertà di migrare – e di restare – renderla ordinata e sicura, prendendo in considerazione tutte le cause che spingono a fuggire, compresa quella, sempre più importante, del disastro climatico che non ha tutt’ora alcun riconoscimento, nonostante l’invocazione di papa Francesco.
Cito letteralmente le ultime righe del libro, che è un’affascinante storia del nostro passato, perché ci consegnano un programma di lavoro per il che fare domani: «Non c’è niente di irregolare o pericoloso se regioni o enti locali, imprese, università o centri culturali, perseguono concretamente alcuni degli obiettivi indicati nel Global Compact, l’abbia o meno approvato l’Italia». Stiamo infatti parlando di atti dell’Onu, che come sapete non sono purtroppo vincolanti. E però guai se non ci fossero stati e qualcuno non li avesse presi sul serio. Per ottenere leggi vincolanti, si comincia così.

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