Quell’intreccio tra mafia e Alleati in Sicilia che non favorì lo sbarco
Il caso Lo storico Salvatore Lupo smonta la vulgata sui fatti del 1943 in «Il mito del grande complotto» (Donzelli). L’Fbi si rivolse a Lucky Luciano per «gestire» il porto di New York, ma l’intesa non valeva all’estero
Il caso Lo storico Salvatore Lupo smonta la vulgata sui fatti del 1943 in «Il mito del grande complotto» (Donzelli). L’Fbi si rivolse a Lucky Luciano per «gestire» il porto di New York, ma l’intesa non valeva all’estero
La categoria del complotto ha rappresentato, a destra e a sinistra, una delle principali chiavi interpretative della storia italiana contemporanea. Studiosi, pubblicisti, esponenti politici, hanno fatto propria e diffuso l’idea che gli eventi chiave delle nostre vicende risalissero a un qualche accordo segreto tra poteri forti, a partire dal quale diventa possibile giustificare e spiegare in maniera meccanica e deterministica tutte le dinamiche sociali e politiche. Nel caso della mafia siciliana, e dei suoi rapporti col mondo politico e imprenditoriale, i complottisti hanno sempre abbondato: basti pensare alla saga della cosiddetta «trattativa», tuttora molto popolare presso vasti settori dell’opinione pubblica, fino ad essere diventata un oggetto pop, a cui sono stati dedicati perfino dei film.
SALVATORE LUPO, nel suo ultimo lavoro, Il mito del grande complotto. Gli Americani e lo sbarco in Sicilia del 1943 (Donzelli, pp. 100, euro 16), si cimenta nell’opera di smitizzazione di quello che potrebbe essere considerato il primo dei complotti contemporanei, vale a dire, lo sbarco degli Americani in Sicilia grazie all’aiuto decisivo che Cosa Nostra avrebbe fornito loro attraverso la sua doppia articolazione siciliana e statunitense. In questa presunta collaborazione avrebbe svolto un ruolo di primo piano il gangster siculo-americano Lucky Luciano. Avvalendosi dei suoi contatti nell’isola natia, il boss avrebbe fornito all’esercito alleato le informazioni necessarie a rendere lo sbarco sull’isola poco più che una passeggiata. Dell’«operazione Husky» si sarebbe avvantaggiata Cosa Nostra siciliana, che avrebbe così colto l’occasione per ricostituirsi dopo i colpi ricevuti dal prefetto di ferro, Cesare Mori.
Lupo definisce questa narrazione come mito, ovvero elaborazione di fatti storici che non poggia su fonti empiriche ma su interpretazioni soggettive, per poi essere trasformata in una ricostruzione coerente, per demolirla sistematicamente. La fonte principale di questo mito è l’articolo pubblicato dallo scrittore siciliano Michele Pantaleone sul giornale L’Ora nel 1958. In seguito, il senatore Carraro, presidente della commissione Antimafia, lo avrebbe trasformato in fatto storico, usando anche alcune conclusioni della commissione congressuale Kefauver, quella che considerava la criminalità organizzata come il prodotto di una cospirazione straniera.
SICURAMENTE L’FBI chiese a Lucky Luciano di aiutarli a controllare il porto di New York, con lo scopo di prevenire sabotaggi, disciplinare la manodopera riluttante, ottenere uno sforzo bellico congiunto. Ma non esistono prove che il «Project Underworld», sviluppato all’interno degli Stati Uniti, abbia avuto un’appendice estera. Inoltre, tra gli Alleati, le operazioni di intelligence, erano demandate agli Inglesi, e le dimensioni limitate dell’isola portavano a rendere difficoltosi, come documentato, i tentativi di infiltrazione. Luciano non avrebbe potuto fornire un grande aiuto, avendo lasciato l’isola da bambino, avrebbe avuto qualche difficoltà a intrecciare rapporti, dato che le due organizzazioni rappresentano entità distinte. Infine, lo sbarco in Sicilia non fu affatto indolore, dal momento che consentì ai Tedeschi di andare a presidiare l’Italia peninsulare, vanificando ogni speranza di conquista rapida da parte degli Alleati.
Se è vero che molti mafiosi furono nominati alla testa delle amministrazioni liberate, ciò è dovuto al fatto che Mori non aveva per niente sconfitto la mafia, tanto che un rapporto ufficiale dello stesso Ministero dell’Interno, del 1938, ne descrive la struttura organizzativa. I mafiosi hanno gioco facile ad accreditarsi come esponenti di punta della società locale, e di rafforzare quel blocco sociale agrario-clericale che si oppone al movimento contadino, a partire dal quale faranno in seguito apprezzare agli Americani – che al momento dello sbarco li consideravano come degli interlocutore di necessità, retaggio dell’arretratezza siciliana – sia la propria capacità alloplastica che il proprio anticomunismo viscerale.
CI TROVIAMO DI FRONTE perciò ad uno scenario fluido, complesso. La verità storica, ci deve servire ad acquisire consapevolezza e ad elaborare una pratica politica all’altezza di queste contraddizioni.
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