Cultura

Quell’identità tedesca che emerge attraverso il thriller

Kermesse Un'intervista allo scrittore Andreas Pflüger, ospite della rassegna Krimi

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 23 giugno 2017

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Sceneggiatore tra i più apprezzati in Germania, ha collaborato con il regista Volker Schlöndorff per il Il nono giorno e Strajk, e scritto oltre venti episodi della serie tv tedesca Tatort (scena del crimine), trasmessa fin dagli anni Settanta, Andreas Pflüger, sessantenne della Turingia trapiantato a Berlino, è tra i protagonisti di Krimi dove presenta il suo romanzo Nero assoluto, Emons, (pp. 412, euro 16) finalista al Crime Cologne Award 2016.

Prima di dedicarsi alla narrativa, ha lavorato come sceneggiatore per il cinema e per Tatort. C’è chi considera questo serial uno strumento per cogliere le trasformazioni vissute dalla Germania. È davvero così?

Per certi versi penso proprio di si. Ogni puntata di Tatort è vissuta dal pubblico come una sorta di evento religioso e gli ascolti non scendono mai sotto i dieci milioni. Le puntate sono ambientate presso i corpi di polizia di città e regioni diverse, e con quello più generale del paese. Se uno guardasse le centinaia di puntate trasmesse fino ad oggi si troverebbe di fronte ad uno specchio perfetto della società e della politica tedesca degli ultimi 40 anni.

Le puntate scritte da lei di cosa trattano?

Insieme al mio collega Murmel Clausen ho scritto principalmente per la stagione di Tatort ambientata nella città di Weimar. Con lui formiamo una coppia inossidabile di «compagni d’armi» e malgrado la nostra chiave narrativa per la serie sia soprattutto un certo umorismo nero, direi che cerchiamo di afffontare temi legati all’«anima» oltre che al crimine. Del resto, penso che scrivere un noir significhi filosofare sulla colpa, l’espiazione e la morte.

Il suo romanzo di esordio nel nostro paese, «Nero Assoluto», è un ruvido thriller ad alto potenziale d’azione. La protagonista, che si muove come un moderno samurai, è però una donna cieca. Un paradosso non crede?

Nel creare il personaggio di Jenny Aaron sono stato ispirato dal filosofo francese Jacques Lusseyran che è cieco. Ho letto la sua autobiografia e sono rimasto colpito dall’indipendenza e dalla forza con cui ha condotto la sua vita malgrado la cecità. Quando ho iniziato il romanzo non sapevo che la mia eroina avrebbe seguito il codice bushido dei samurai, ma poi, mano a mano mi sono accorto che lei per quella via è come se avesse riacquistato la vista e potesse affrontare il pericolo in ogni situazione.

Il ritmo narrativo e il clima stesso del libro possono far pensare a certo cinema americano d’azione. Riconosce tale influenza?

Ho amato molto i film di arti marziali e, allo stesso tempo, mi sono però interessato sempre anche alla filosofia orientale. Nel romanzo convergano entrambi questi elementi. Quando sono seduto al cinema voglio essere sopraffatto da quanto sto vedendo. E questo è il più delle volte ciò che cerco di fare quando scrivo: stupire di continuo il lettore, che è in qualche modo costretto a corrermi dietro, e trasformare l’azione cinematografia in una formula narrativa.

«Nero Assoluto» ci introduce negli ambienti della polizia criminale federale, la Bka, come in quelli dell’intelligence. Un mistero nel mistero?

Il romanzo di Jenny Aaron è il primo capitolo di una trilogia che si addentrerà progressivamente, specie a partire dal prossimo libro, che uscira in Germania ad ottobre, nel mondo dei servizi e delle unità d’élite delle forze dell’ordine che nascondono molti segreti e dovrebbero essere regolate e controllate molto di più dalle autorità.

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